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Piazza Affari torna a sorridere

La Borsa di Milano ha chiuso a 5,1% la scorsa settimana, la migliore da marzo. Un segnale di forza, viste la stagionalità e la situazione geopolitica. Al rimbalzo azionario ha fatto eco la ripresa vigorosa della componente obbligazionaria, con l’arretramento dello spread a poco più di 180. La crescita della Borsa è stata supportata da dati economici importanti: Intesa Sanpaolo ha portato l’utile netto a nove mesi a +85% rispetto allo stesso periodo del 2022.

I mercati mondiali sono in ottima salute e hanno buone prospettive per chiudere l’anno in crescita. Fa eccezione il titolo di Tim, che ha subito una brusca retromarcia a causa della vertenza annunciata da Vivendi contro la modalità con cui il cda ha approvato la cessione dell’infrastruttura di rete al fondo americano Kkr. Il calo del titolo dipende, probabilmente, dai timori di Piazza Affari su una lunga e incerta controversia. Comunque vada, ci si augura che la vendita della rete a un privato abbia previsto tutte le garanzie e le cautele del caso, trattandosi di un’infrastruttura sensibile. Niente di nuovo, invece, sul fronte del fisco: secondo Eurostat, i dati 2022 evidenziano che tasse e contributi pesano per il 42,9% del Pil. Come da più o meno 20 anni. Considerato che il pil è salito artificialmente con l’inflazione, non è più possibile aggiungere tasse: siamo vicini al punto della curva di Laffer in cui l’eccessiva tassazione distrugge il gettito invece di crearlo. Segnali contrastanti per le materie prime. Il gas, sospinto dalla domanda invernale, sfiora i 50 euro a megawattora. Il petrolio si è nuovamente attestato nella fascia tra gli 80 e gli 85 euro al barile. L’oro, dopo i recenti rimbalzi legati alla situazione geopolitica è sceso e tornato in territorio neutrale. 

Negli Usa, intanto, i tassi restano invariati. Riduzioni a breve sono poco probabili, mentre un nuovo rialzo non è del tutto escluso.

Sulla stretta monetaria, oltre oceano ci sono due correnti di pensiero contrastanti. C’è chi è convinto che i tassi alti possano indurre una flessione dell’economia, fino a portarla in recessione. Il valore degli immobili commerciali è già in discesa, anche a causa del rincaro del tasso medio dei mutui. 

Chi invece approva le decisioni della Fed afferma che ci sono 2.000 miliardi di dollari di spesa corrente già stanziati che entreranno il circolo l’anno prossimo.

E’ comunque chiaro che eventuali ricadute negative della stretta monetaria si sentano molto di più nel vecchio Continente, perché gli Usa, a differenza dell’Ue, sono un Paese unito in grado, ad esempio, di approvare in tempi brevi, con concorso di finanziamenti, la nuova linea ferroviaria sotto il fiume Hudson. In un qualsiasi Paese dell’Ue sarebbe quasi proibitivo.

Carlo Vedani
Carlo Vedanihttps://alicantocapital.com/
Collaboratore. Amministratore delegato di Alicanto Capital
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