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Tassi, Bce e Fed sempre meno allineate

E‘ sempre più probabile il calo dei tassi Bce a giugno. Lo ha confermato Christine Lagarde in alcune dichiarazioni rilasciate a margine degli incontri Fmi. Se l’imminenza dei tagli non è praticamente in discussione, molti più dubbi sorgono sulla loro entità e sulla loro frequenza. La presidente si è subito coperta le spalle, ricordando che la Bce non si è impegnata preventivamente a una serie di sforbiciate: un primo taglio a giugno, quindi, non presuppone obbligatoriamente altri ritocchi entro il 2024. E’ comunque probabile che nel corso di quest’anno possa verificarsi un aggiustamento complessivo dello 0,50%, magari diviso in due operazioni.

Molto differente la situazione in casa Fed. Rovesciando la dichiarazione di alcune settimane fa, che aveva aperto a tre tagli entro fine anno, Jerome Powell ha affermato che i tassi resteranno fermi se l’inflazione non scenderà. La sua cautela dipende proprio dalla situazione del vortice inflattivo americano, che non è stato del tutto domato, mentre l’economia va bene e sembra in grado di sopportare senza troppi contraccolpi un eventuale prolungamento delle condizioni restrittive del costo del denaro.

L’inflazione americana (come quella europea, pur in regressione) dipende soprattutto dalle materie prime. A cominciare dal prezzo del petrolio e proseguendo con l’oro, ma anche con la crescita a doppia cifra di rame e alluminio (+10%) e la fiammata delle materie prime agricole.

A questi dati occorre aggiunere la situazione di difficoltà nello stretto di Hormutz. In questo contesto, lo S&P è arrivato a perdere il 5% circa, anche se ora la flessione sembra essere quasi del tutto rientrata. Piazza Affari va invece a tratti, confermando la situazione all’insegna del trading range. Il mercato rimane dunque molto forte, e il ritorno del petrolio sotto quota 90 rappresenta un ulteriore elemento di tranquillità. Preoccupano invece le stime del Fondo Monetario Internazionale sul prodotto interno lordo italiano, che è visto in crescita per quest’anno, ma al ribasso nel 2025, al +0,7%, contro le previsioni del governo pari all’1,2%. Se si verificasse questa situazione, l’Italia sarebbe maglia nera tra i Paesi del G7.

Premesso che ultimamente il Fondo Monetario Internazionale ha sbagliato molte previsioni, il dato relativo al nostro Paese non è comunque confortante. Sicuramente, nel Def, il governo italiano è stato troppo ottimistico sulla questione: anche Banca d’Italia ha rimarcato che le stime sulla crescita del pil dovranno essere riviste al ribasso. Non è comunque detto che le previsioni si avverino del tutto: la Gran Bretagna sta ancora lottando con le ricadute negative della Brexit (e presumibilmente lo farà ancora per lungo tempo) e la Germania è alle prese con la recessione, che ha caratterizzato la chiusura del 2023 per la “locomotiva d’Europa”. Non è quindi escluso che l’Italia possa evitare di ricoprire lo scomodo ruolo di fanalino di coda, giocandosi l’ultimo posto con questi due Paesi.

Carlo Vedani
Carlo Vedanihttps://alicantocapital.com/
Collaboratore. Amministratore delegato di Alicanto Capital
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