La Fed ha deciso di fermare la crescita dei tassi. J. Powell ha affermato che potrebbero essere necessari altri aumenti e che i tassi rimarranno alti per lungo tempo e questo preoccupa i mercati. Anche la Banca d’Inghilterra e la Banca Nazionale Svizzera hanno optato per una pausa, lasciando rifiatare le rispettive economie. Cosa che non ha fatto la Bce, il cui ritmo serrato rischia di portare al disastro economia, potere di spesa delle famiglie e Stati con debito pubblico alto. Goldman Sachs ha già accennato a una possibile impennata degli spread – e questo forse significa che hanno già posizioni short sui debiti dei paesi più in difficoltà.
La Bce è intenzionata a fare qualsiasi cosa per raggiungere l’obiettivo del 2%, ma, come già detto, l’inflazione europea dipende dalle materie prime: finché queste non calano, la spirale inflattiva non può scendere troppo. Non rassicura la nuova ascesa del petrolio che, a causa dell’asse fra Arabia Saudita e Russia, sta galoppando pericolosamente verso il valore di 100 dollari al barile. L’economia dell’UE e quella britannica sono le meno brillanti nel mondo occidentale. Quella statunitense è molto più vicina all’equilibrio rispetto alla nostra, con un’inflazione che arretra gradualmente. Sicuramente, alla crisi europea contribuisce anche lo stop della Germania. Berlino ha vissuto per più di 20 anni su tre cardini: l’assenza di svalutazioni competitive, che ha favorito una crescita di salari reali, il gas russo a basso prezzo e un export in Cina praticamente illimitato.
Con la situazione geopolitica attuale si manifestano tutti i limiti dell’espansione economica tedesca che non dipende da buone politiche di bilancio. Non potendo più beneficiare del “traino” tedesco, i paesi del centro e sud Europa dovrebbero cercare alternative. L’Italia, per esempio, ha una strada obbligata: quella di ritagliarsi un ruolo in Africa con il “piano Mattei” di cui si sta insistentemente parlando. L’aumento dei tassi ha dato una grossa spinta alle banche, contribuendo ai loro utili record. Anche se in futuro potrebbero vedere i loro bilanci indeboliti dalla recessione. Intanto, però, le aziende bancarie si godono il successo legato al tasso di deterioramento del credito che dovrebbe chiudere l’anno all’1,2%, al minimo dal 2006. Inoltre, negli ultimi otto anni lo stock Npe si è ridotto di 55 miliardi e gli operatori del mercato Npl hanno favorito il processo di derisking. Un risultato legato alle regolamentazioni Eba e al lavoro dei player specializzati nella gestione dei non performing loans, ma anche alla stretta creditizia applicata dalle banche dopo la crisi Lehman.
L’andamento del settore creditizio sarà determinante per i prossimi risultati della Borsa di Milano, al momento in linea ribassista, senza però che ci sia la necessità di effettuare movimenti drastici. E’ saggio rimanere in attesa perchè non si vedono ancora grandi opportunità per gli investitori.