Quattro anni fa usciva un bellissimo libro di Frank Westerman intitolato Ingegneri di Anime. Si tratta di un viaggio a metà tra il reale e l’immaginario attraverso la Russia contemporanea e gli scrittori sovietici. Racconta Westerman che nel 1932 Stalin si presentò a casa di Maksim Gor’kij (scrittore e drammaturgo) pronunciando: “I nostri carri armati non valgono niente, se le anime che devono guidarli sono di argilla”. Spetta agli scrittori, dice Stalin, “ingegneri di anime”, forgiare l’uomo nuovo sovietico.
E da quel momento ci fu un enorme lavoro sulla narrativa della costruzione e della produzione, immense opere idrauliche, programmazioni quinquennali, deviazioni di fiumi, costruzioni di canali, impianti di desalinizzazione ecc.
Pochi anni più tardi anche qui in Italia, un altrettanto ironico ingegnere di anime raccontava delle vicende surreali e tanto verosimili di un piccolo borgo di pianura, dove un prete e un sindaco se le davano di santa ragione.
Quasi 100 anni più tardi, la retorica e la propaganda viene affidata a nulla di più evanescente dei social, foto e parole che scompaiono nel giro di 24 ore, cui ormai troppo spesso ci si affida per veicolare un’idea. Se devo essere sincero, io, abitante del comune di Fivizzano, sono rimasto sorpreso lo scorso settembre quando ho visto le prime immagini di quello che – in teoria – dovrebbe diventare il nuovo Parco Termale, fiore all’occhiello del comune: “concessione di un finanziamento, attraverso Regione Toscana, da parte del Fondo Unico Nazionale per il Turismo di 315.000,00 euro per la realizzazione di un progetto di riqualificazione del Parco termale di 630.000,00 euro, l’Amministrazione Comunale fivizzanese garantirà la quota parte di 315.000,00, in oltre a questo si devono aggiungere altri 80.000,00 euro già stanziati per l’efficientamento energetico”.
“I lavori partono a febbraio e l’obiettivo è di terminarli per l’inizio della stagione, entro il 10 giugno”, ha dichiarato poche settimane fa il sindaco Giannetti. Un giorno esatto dopo la tornata elettorale 2024 che vede sia europee che comunali ai banchi di prova.
Ovviamente, al momento, non si ancora quali saranno le liste che si sfideranno per il comune, quello che si conosce – e si vede – è l’ormai presenzialismo accentuato, da parte dell’attuale amministrazione, dall’estate scorsa in ogni piccolo evento, in ogni piccola frazione. Dagli spazi per i camper agli scuolabus elettrici, dalla sagra di paese all’asfaltatura del viale, dall’inaugurazione delle nuove attività ai programmi in radio, dalla presentazione dei festival musicali a New York alle antenne per i telefoni, dal mercato in piazza agli alpini, dalle castagne al discorso di Natale, dal presepe vivente in Piazza San Pietro all’accensione dell’albero, dai gemellaggi d’oltralpe alla corsa della monferraglia, dal viaggio in Brasile alla sosta camper “che funziona”.
Ma a costo di dimostrare un po’ di populismo, cui prodest tutto ciò? (A chi giova?)
Dopo aver vissuto più o meno 40 anni in questi luoghi ho notato che la vera mancanza sono i trasporti e tutto ciò che ne consegue e che ne gravita attorno: un autobus, le strade, un parcheggio, i guardrail, servizi essenziali probabilmente, ma che cambiano la vita a chi ha scelto di rimanere a vivere in un paesino di 100 anime e va incontro ad una inesorabile problematica del “restare isolato”. Perché forse qui non è necessario essere “ingegneri di anime”, quanto solamente “gestori del quotidiano”. Sinceramente a Monzone c’era bisogno di una prospettata “piantumazione di n. 7 alberi e arbusti appartenenti a specie autoctone”? Non abbiamo altro che alberi che hanno resistito a siccità, terremoti, alluvioni, gelate dell’’85. Davvero abbiamo bisogno di un nuovo parco terme che viene concluso un giorno dopo le elezioni comunali di giugno?
Io credo che ci siano tante cose, piccole, piccolissime, prima dei viaggi in Brasile e a New York e delle promesse di varianti da milioni di euro, prima di tutto la chiarezza di dire, ragionevolmente, dove si può arrivare e con quali mezzi, con quali aiuti è stato possibile costruire cose e raddrizzare strade, e ancor prima partire dai “paesani”, avere l’umile caparbietà di domandare: “di cosa avete bisogno”? Di un passaggio per andare dal dottore? Di una corsa per arrivare alla stazione? Ecco, “come possiamo aiutarvi?”. Come scriveva Cesare Pavese “un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
Non lasciateci soli con la piantumazione di 7 alberi autoctoni.