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Le parole con cui affrontiamo il mondo: Mercato

La parola mercato deriva dalla parola latina “mercatus”, proveniente del verbo “mercari”, che significa “ciò che è comprato”. Il verbo “mercari” deriva da “mercem”, termine con cui si definisce una cosa soggetta a divisione, a spartizione, denotando così con “merce” un oggetto la cui caratteristica prima  sia quella di permettere a più soggetti di usufruirne, di prenderne parte.
Questo concetto del “prendere parte”, cui rimanda la “mercem”, si ritrova ancora in modo concreto nell’odierna concezione del mercato, inteso come luogo in cui avviene un’attività collettiva di scambio. All’interno del mercato ogni merce riceve il proprio valore sociale ed antropologico a partire dal vitale contesto di scambio, in relazione a cui ad ogni merce viene associato un certo prezzo.
Una parola che oggi viene spesso utilizzata per designare una specifica forma di mercato è il termine “supermercato”, il cui utilizzo è banalmente associato ad una funzione di significanza accrescitiva, secondo la quale il supermercato non sarebbe altro che un grande mercato. Ma se osserviamo i due contesti di compravendita, possiamo accorgerci che il prefisso “super” – aggiunto alla parola mercato -, può essere concepito non tanto e non solo con un valore accrescitivo, bensì “superativo”. La differenza ravvisabile fra i due contesti -quello del mercato e quello del supermercato – non è solo di carattere dimensionale, ma investe anche il campo della semantica del termine merce. Infatti, se nell’etimo originale il termine “merce” rimandava alla “divisibilità” della stessa, ad un contesto in cui l’oggetto stava al centro di una fruizione e attività di scambio comune, nel caso della merce del supermercato, di fatto abbiamo a che fare con un oggetto che non è più al centro di un’attività reale ed attiva di scambio, da cui essa possa dedurre il proprio valore.
Nel supermercato la merce, acquistabile in una modalità self-service, alloggia sugli scaffali, e da lì, sottratta alla compravendita della piazza,  acquisisce la capacità di auto-produrre il valore di sé stessa, valore attraverso cui ancora sarà lei stessa a determinare il senso dello scambio e del sistema dei bisogni corrente.
Il supermercato è dunque da intendersi in un senso di superamento delle caratteristiche stesse del mercato tradizionale, in cui non sono tanto i nostri bisogni reali a determinare il valore della merce, quanto quest’ultima a fare breccia e determinare, talvolta perfino deformandoli, i nostri bisogni.
Forse, e proprio per queste ragioni, il termine che più si addirebbe agli oggetti in vendita nei supermercati è quello di “roba”, dal latino “rauba”, termine preso dal germanico e utilizzato con il significato di preda, bottino di guerra,  tradotto poi nella nostra lingua in “sostanza” generale e cosa di qualche valore che si possiede ed atta ad essere posseduta.
La roba, gli oggetti che popolano gli scaffali del supermercato, che si acquistano e consumano talvolta in solitario, sono infatti tanto affini all’ambito del possesso quanto più lontani da quello dello scambio, della con-divisione che caratterizza la merce scambiata nelle piazze, nel dì del mercato.

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