Accadde 100 anni fa e fu uno dei pochi episodi di resistenza armata all’ascesa del fascismo in Italia
Nella zona attorno a Sarzana le camice nere operarono feroci aggressioni contro comizi e sedi socialiste culminate con l’uccisione dell’operaio Luigi Gastardelli il 12 giugno 1921 e con gli assassinii del ferroviere Dino Rossi, del pescatore Rinaldo Spadaccini e dell’operaio Rino Garfagnini il 17 luglio.
Violenze fasciste in Lunigiana nel 1921
Ad Aulla durante una sosta, venne bastonato un anarchico e nel pomeriggio le squadre si diressero a Santo Stefano di Magra, dove massacrarono Luigi Del Vecchio, un vecchio contadino iscritto al partito popolare e il contadino Edoardo Vannini e derubarono preziosi all’interno di alcune abitazioni, facendo circa quindici feriti tra la popolazione.
Il 15 luglio, quando ignoti nei pressi di Carrara, tesero un agguato e uccisero il muratore e imprenditore edile Pietro Procuranti, di sentimenti politici nazionalisti. La vendetta fascista non si fece attendere; il 17 luglio dopo i funerali di Procuranti, ai quali parteciparono circa 150 fascisti armati di tutto punto provenienti da Carrara, questi si diressero verso Monzone, dove era annunciato un comizio di un anarchico, Romiti, e di un comunista, Del Ranco.
Giunti a Monzone, iniziò la mattanza: vennero uccisi a pugnalate il ferroviere Dino Rossi, che stava tranquillamente rifocillandosi nell’acqua di un torrente e l’operaio Rino Garfagnini mentre tornava dal lavoro. Ma gli squadristi non si accontentarono di questi delitti e allora entrarono in paese, ferirono a revolverate cinque cittadini, ne bastonarono e presero a calci e pugni altri e perquisirono alcune case di “sospetti rossi”, alla ricerca di segni tangibili del loro credo politico. Infine distrussero e derubarono la cooperativa di consumo L’Avvenire. Per festeggiare, i fascisti trafugarono due fiaschi di vino e un portafoglio ad un operai
Dopo l’arresto di alcuni fascisti responsabili delle violenze, centinaia di squadristi provenienti dalle province limitrofe organizzarono l’assalto a Sarzana per ottenere la scarcerazione del fondatore del fascio di Carrara, Renato Ricci, detenuto presso la Fortezza Firmafede.
Il 21 luglio 1921 la popolazione si mobilitò attorno agli Arditi del Popolo, che nei giorni precedenti avevano già respinto le incursioni squadriste. Contro i fascisti si schierarono anche i carabinieri comandati dal capitano Guido Jurgens che ordinò di aprire il fuoco e di disperdere le camice nere. Gli squadristi vennero sconfitti dalla resistenza unita degli Arditi del Popolo, della comunità contadina e operaia e dei militari leali, riportando un bilancio di 16 morti e decine di feriti.
Al grido «A noi!» le camicie nere si mossero compatte contro la quindicina di armati al comando di Jurgens
Mimmo Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, Milano, Mondadori, 2009, ISBN 978-88-04-52934-7.
A fine giornata i fascisti uccisi furono quattordici, a cui si aggiunsero i cadaveri “orrendamente mutilati” dei due fascisti catturati al posto di blocco il giorno 20 e ritrovati privi di vita in un fossato nei giorni seguenti, mentre i feriti furono circa cinquanta.
I fatti di Sarzana suscitarono nel paese grande clamore, commenti disparati, articoli di giornale e notizie fantasiose, come quelle riferite al capitano Jurgens, definito dalla stampa borghese “comunista”, o una seconda che ne dava per certo il suicidio, entrambe smentite da Il Lavoro. Lo stesso giornale pubblicò l’intervista fatta ad Amerigo Dumini, che come altri fascisti, attribuì la colpa dell’iniziale conflitto al capitano Jurgens, sostenendo inoltre che la spedizione a Sarzana aveva intento “pacifico” e mirava ad ottenere la liberazione dei compagni non con la forza “ma mediante pratiche conciliative”.
Poche ore dopo i fatti avvenuti a Sarzana Dino Grandi espose così la posizione ufficiale del partito fascista: “Il sacrificio dei nostri fratelli non sarà speso invano. La nostra lotta quotidiana è una necessaria tutela privata del diritto. Non siamo una fazione dello Stato, perché sentiamo invece di essere noi lo Stato e la Nazione”. I giornali si schierarono più o meno apertamente dalla parte degli squadristi; il Corriere della Sera riprese l’intervista di Dumini fatta da questi al giornale fiorentino Nuovo giornale, Il Tirreno incentrò la narrazione sull’uccisione dei due giovani squadristi il giorno precedente ai fatti, mentre il Corriere Mercantile una settimana dopo i fatti e dopo la notizia della firma del patto di pacificazione, titolò emblematicamente Bisogna ubbidire rimarcando le intenzioni legalitarie del fascismo. Tutti i giornali sopracitati si guardarono bene dal narrare le atrocità compiute dagli squadristi nelle settimane precedenti il 21 luglio, presentando la spedizione su Sarzana come “una dimostrazione pacifica” in una città in mano ai “sovversivi”.
Il 21 luglio 1922, in occasione del primo anniversario dei fatti di Sarzana i fascisti organizzarono una manifestazione propagandistica nella città e il 30 luglio nel corso di una nuova manifestazione fascista che vide la presenza di Michele Bianchi, fu posta una lapide commemorativa sul muro della stazione ferroviaria. Dopo la presa del potere da parte del fascismo fu inaugurata all’interno del municipio di Sarzana un sacrario ai caduti fascisti presso il quale annualmente, nel giorno della ricorrenza, si organizzarono incontri e commemorazioni. Una volta al potere, il fascismo usò il pugno di ferro con la città di Sarzana: ogni apparato amministrativo e culturale fu trasferito a La Spezia e vennero perseguite tutte quelle personalità legate in qualche modo all’antifascismo, e allo stesso tempo il regime fece della città una sorta di luogo della memoria vittimistica dello squadrismo, simboleggiante l’eroismo patriottico contro la barbarie rossa.