I Partigiani Digitali

C’è una ragazza in Polonia che ogni sera, dopo il lavoro in biblioteca, apre un file Excel e aggiorna una lista di profili di X legati alla disinformazione russa. Non ha una pistola, non ha un grado, non ha nemmeno una connessione stabile. Ma è in guerra.

C’è un ragazzo ucraino che lavora di giorno come programmatore freelance e di notte modera un canale Telegram dove vengono smentite le fake news dai territori occupati. Traduzioni, fonti incrociate, meme antifascisti. Lo fa gratis. Lo fa per rabbia. Lo fa perché vuole dire la verità.

C’è un’associazione studentesca in Slovacchia che tiene corsi clandestini (sì, clandestini) contro la propaganda filo-russa diffusa su TikTok. Sui muri della loro aula autogestita c’è scritto: “La libertà è una scelta quotidiana.”

E in Italia? C’è un gruppo di giovani precari e con la partita iva che ogni settimana smonta le bufale di certi politici con camicie stirate male e citazioni fascistoidi. Lo fanno tra un treno preso al volo e l’altro, tra uno sciopero e una supplenza. Sono stanchi. Ma non mollano.

Queste persone non hanno il nome inciso sulle lapidi dei cimiteri partigiani. Ma se oggi possiamo ancora parlare di antifascismo senza vergogna, è anche merito loro. Sono i partigiani digitali. Combattono una guerra sporca, silenziosa, invisibile. E non gliene frega niente di essere chiamati eroi.

Il nemico non è solo con l’elmetto. Non è solo colui che si ritrova una volta all’anno a Predappio ad onorare un morto. È nei troll che alimentano l’odio. È nei deepfake che manipolano la realtà. È nei meme di estrema destra che si infilano nelle stories dei tredicenni. È nel populismo dell’università della strada, nell’indifferenza, nel negazionismo culturale.

Oggi, nel 2025, è tempo di riconoscere che la Resistenza non è mai finita. Ha solo cambiato forma. E che ogni post corretto, ogni bufala smentita, ogni thread di Twitter (o X come volete) ben scritto è un’azione di sabotaggio. Ogni link affidabile condiviso è una bomba alla verità.

I nuovi partigiani non indossano divise, ma felpe, magliette dei Metallica con sopra scritto “MattarellA”. Non portano mitra, ma browser aperti. Non vivono in rifugi in montagna, ma in case umide con il wi-fi che funziona a singhiozzo. Ma sono lì. Ogni giorno. A difendere la libertà.

Perché la verità è che la libertà non si conserva, si coltiva. E oggi si coltiva anche online. Nelle battaglie contro la disinformazione. Nelle newsletter che smontano le fake. Nei siti di fact-checking, nei canali indipendenti, nei podcast di approfondimento.

Non c’è un 25 Aprile senza il 24. E il 24, caro lettore, siamo noi. Tu, io, chiunque decida che le parole contano ancora. Che la memoria è un carburante. Che il fascismo non si combatte solo col ricordo, ma col pensiero vivo.

Quindi la prossima volta che condividi un’informazione corretta, che contesti un’idiozia su Facebook, che spieghi a tua madre cos’è il debunking, ricordati: stai facendo Resistenza.

E se qualcuno ti chiede dove sono finiti i partigiani, puoi rispondere senza esitazione:

“Sono ancora qui. Ma ora usano la fibra ottica. (O il wi fi del vicino)”

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