domenica 8 Settembre 2024

(E)consigli di lettura per l’estate – La notte in cui Mussolini perse la testa

Il 24 luglio 1943 era un’estate in cui il governo fascista guidato dal dittatore Mussolini ancora era in piedi. Il 25 luglio non lo era più.

Cosa accadde tra il pomeriggio e la notte più lunghi del ventennio? Roma era devastata dai bombardamenti alleati, il Gran Consiglio del fascismo non si era più riunito dal 1939, la posizione di Benito Mussolini era sul punto di vacillare. La popolazione era allo stremo e l’aria nelle piazze di Roma si poteva tagliare con il coltello. Negli ultimi giorni il Duce incontrò il Fuhrer a Feltre per cercare una via d’uscita per l’Italia, il ritiro dal fronte russo per evitare la distruzione dell’Italia, il “ventre molle” dell’Europa.

Pier Luigi Vercesi nel suo “La notte in cui Mussolini perse la testa”, racconta le fasi concitate delle ultime ore del ventennio. Gli intrighi e le congiure militari si protraevano da mesi, gerarchi fascisti cercavano in diversi modi di salvare la patria, il partito, il paese, chiedendo aiuto o tessendo trame con ambasciatori e alti rappresentanti del vaticano e di altri paesi europei e non solo. Tuttavia nessuno degli ex fedelissimi del Duce riuscì a prevalere con una propria strategia, neppure chi tentò di invocare l’aiuto del Vaticano.

Il 24 luglio nessuno, al di fuori dei gerarchi, sapeva dell’imminente seduta del consiglio. E forse ancora meno era scontato che la testa di Mussolini cadesse, restando prima in bilico e poi precipitando, ora dopo ora, fino alle due di notte del 25 luglio 1943.

Vercesi racconta quello che accadde traendo spunto dalla vastissima letteratura sull’argomento, talvolta scritta in prima persona da chi realmente partecipò a quel Consiglio. L’approccio però è molto narrativo, avvincente, sebbene rigoroso, escono fuori le personalità di tutti coloro che da mesi avevano anticipato la caduta di Mussolini: “Cosa significa il nostro ordine del giorno? Significa che il Gran consiglio, organo supremo del fascismo, delibera decaduto il regime di dittatura, perché esso ha compromesso i vitali interessi della nazione, ha portato l’Italia sull’orlo della sconfitta militare, ha tarlato e corroso nel tronco la rivoluzione e il fascismo medesimo” disse Dino Grandi presentando il suo celeberrimo ordine del giorno.

Il maresciallo Badoglio, era pronto da tempo a prendere in mano le redini del paese? Molte fonti raccontano di sì, anche se tutto quello che accadde nelle prima ore del 25 luglio fu una sorpresa, almeno fino a quando venne il momento di votare l’ordine del giorno di Grandi, quello che avrebbe suggellato la caduta del Duce. “Il segretario del partito pronunciò il primo “no”, poi, astutamente, interrogò Suardo: «Astenuto». Seguirono De Bono, De Vecchi, Grandi e De Marsico: quattro “sì”. L’appello si concluse con diciannove voti favorevoli (Acerbo, Albini, Alfieri, Balella, Bastianini, Bignardi, Bottai, Cianetti, Ciano, De Stefani, Federzoni, Gottardi, Marinelli, Pareschi e Rossoni) su ventotto. Contrari Biggini, Buffarini Guidi, Frattari, Galbiati, Polverelli, Scorza e Tringali Casanuova. Farinacci votò il proprio ordine del giorno, pur non essendo stato messo ai voti”.

Quindi pure Galeazzo Ciano, il genero del Duce votò contro di lui. La rabbia di Mussolini era visibile. E non è un caso che Vercesi affiderà le conclusioni proprio a Ciano, o meglio, si affiderà alla narrazione di quello che gli accadde, dopo che il Duce venne accolto dal re, dopo che fu arrestato e portato via in ambulanza, dopo che i nazisti fecero di tutto per liberarlo. Perché Hitler non poteva tollerare che uno dei suoi più grandi alleati, suo e della sua follia rimanesse in una sperduta località montana dell’Abruzzo.

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