Pastasciutta antifascista e squadrismo digitale

Pastasciutta antifascista e squadrismo digitale - anpi, barbarasco

Che l’ANPI oggi faccia sorridere qualcuno per certe prese di posizione politiche più identitarie che antifasciste, non è certo una novità. La recente vicenda della pastasciuttata antifascista di Barbarasco, piccolo paese della Lunigiana, organizzata dalla sezione ANPI Tresana, è però un episodio che va ben oltre la normale critica ironica, e tocca un punto estremamente serio: la gestione degli eventi social e il fenomeno degli assalti digitali organizzati.

Partiamo dai fatti. La sezione locale dell’ANPI organizza da anni una semplice pastasciutta, un incontro conviviale in memoria della celebre giornata introdotta dall’episodio della famiglia Cervi, simbolo storico della lotta al fascismo. Quest’anno, il manifesto dell’evento, che prevedeva anche una lotteria il cui ricavato sarebbe andato genericamente alla “causa palestinese”, è stato pubblicato su Facebook, scatenando una violentissima shitstorm. In poche ore, centinaia di commenti offensivi, sarcastici e aggressivi si sono riversati sotto il post. Fin qui, nulla di insolito per chi naviga quotidianamente sui social.

Ma c’è qualcosa che non torna.

I commentatori – come è emerso da una rapida analisi dei loro profili – provengono da Milano, Civitanova Marche, Potenza, Quarrata, Gaeta: insomma, luoghi che nulla hanno a che vedere con Tresana, che conta poco più di cento abitanti. È evidente, dunque, che non si tratta di semplici cittadini indignati della zona, ma di un gruppo organizzato che, avvisato tramite social o chat private, ha deciso di riversare sul piccolo evento un’ondata di commenti violenti e denigratori. In gergo tecnico, questo fenomeno si chiama raid o squadrismo digitale, e negli ultimi anni è diventato prassi comune di gruppi estremisti e militanti ideologici.

Qui, però, entra in gioco la responsabilità dei gestori della pagina ANPI Tresana. È chiaro che l’organizzazione di piccoli eventi deve prevedere oggi anche una strategia precisa nella gestione social. Pubblicare eventi sensibili come questi senza impostare alcun filtro di moderazione preventiva (possibile su Facebook), senza stabilire criteri di limitazione geografica o senza impostare una soglia di interazione è un errore ingenuo che, però, ha conseguenze molto concrete. Non è censura preventiva, ma gestione consapevole degli strumenti a disposizione, che Meta stessa incoraggia a utilizzare per prevenire attacchi organizzati di odio.

Allo stesso tempo, però, il fenomeno va visto per quello che è davvero: un atto di intimidazione coordinato. Non importa che i commentatori siano reali, con nomi, cognomi e foto del profilo autentiche: il fatto che persone lontane centinaia di chilometri si mobilitino per insultare e denigrare un piccolo evento di paese è un segnale gravissimo. Non si tratta soltanto della provocazione sul merito della pastasciutta o della Palestina. Si tratta di un attacco diretto alla libertà di associazione e di espressione, fenomeno che oggi è comune in ambienti polarizzati da una politica sempre più aggressiva e normalizzata nei suoi tratti estremi.

Perché, dunque, non procedere a una denuncia per incitamento all’odio, diffamazione o molestie online? Questi commenti, anche se scritti con leggerezza, possono essere legalmente rilevanti. Non sarebbe solo una mossa simbolica: sarebbe un segnale preciso e concreto che l’ANPI, pur nella divergenza di idee, non è lasciata sola da chi crede nel diritto civile di esprimersi. L’amministrazione comunale, che pure ha espresso vicinanza ai cittadini organizzatori, potrebbe farsi promotrice di questo atto. Non si tratta di essere dalla parte di una fazione politica, ma dalla parte del diritto democratico di esistere.

Insomma, quanto accaduto a Tresana non è solo il simbolo di un antifascismo che oggi fatica a comunicare correttamente. È soprattutto un campanello d’allarme su un’Italia che tollera sempre meno il dissenso civile – da entrambe le parti, sia chiaro – e che lascia crescere liberamente fenomeni di squadrismo virtuale, oggi diretti all’ANPI, domani a chiunque si discosti dalla retorica dominante. In questo, tutti – antifascisti o meno – dovrebbero sentirsi chiamati a difendere la libertà di espressione, che nessuna pastasciutta al sugo dovrebbe mai vedere minacciata.

PS. Ironia della sorte, Mussolini, a differenza di tutti coloro che festeggeranno il 25 luglio con spaghetti, affettati e formaggi, consumò una misera pasta in bianco nel corso della sua ultima cena sul lago di Como, il 27 aprile 1945. 

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