L’ospite di due settimane fa ha ormai effettuato il checkout, qui all’Overlook Motel, e un nuovo amico ha già parcheggiato i suoi bagagli nell’atrio davanti alla reception, pronto per presentarsi ai nostri lettori. Dico amico non a caso perché Edoardo Tavilla, spezzino di nascita ora trapiantato in provincia di Milano, è veramente un compagno con cui ho condiviso tanti progetti, oltre che un artista e professionista come pochi.
Edoardo, classe 1985, inizia il proprio percorso come programmatore, con un occhio di riguardo per grafica e design, per poi tornare alla sua prima vera passione: poter creare quegli effetti che lo sbalordivano nei film della sua infanzia. Lavora ai primi progetti collaborando su piccoli spot pubblicitari per poi crescere attraverso varie esperienze con marchi sempre piĂą importanti e contribuendo alla post-produzione su progetti cinematografici. Attualmente lavora con diverse agenzie di Milano, occupandosi principalmente di correzione inquadrature, design e animazioni per spot e programmi televisivi distribuiti sulle principali emittenti nazionali.
Ciao Edoardo, la prima domanda è d’obbligo, a nome di tutti quei lettori che sono curiosi di conoscere i ruoli professionali dietro la realizzazione di un prodotto audiovisivo: in cosa consiste sostanzialmente il tuo lavoro?
Per spiegarla con la giusta terminologia, io sono un grafico di post-produzione video, che spazia dal creare completamente da zero grafiche animate in 2D e 3D, alla correzione di errori in fase di ripresa, fino all’integrazione e allo sviluppo di effetti speciali in digitale, detto anche compositing.
Bene, chiarito questo possiamo svelare a tutti che – dimmi se sbaglio – uno dei primi progetti narrativi a cui hai preso parte è stato “A Cup of Tea”, mio cortometraggio del 2015. Ti ricordi quella maledetta vetrata che hai dovuto correggere?
Me la ricordo eccome! Ricordo di avere speso svariati giorni per trovare il modo di correggerla, mantenendo però il mio intervento pressoché invisibile. Avevo molta meno esperienza di ora, diverse lacune, ma tanta voglia di mettermi in gioco e imparare.

Devo dire che l’effetto è invecchiato molto bene! All’epoca mi confessasti che si trattava del lavoro più “rognoso” che tu avessi mai portato a termine. Poi le tue capacità ti hanno portato verso altri lidi e sicuramente negli anni successivi questo record è stato battuto. Quali sono gli aspetti più complessi nel campo degli effetti visivi?
Mettiamola pure così: non esiste mai un’unica soluzione o un manuale per gli effetti visivi. Esistono varie strade e ogni lavoro è sempre e comunque una sfida simile, ma allo stesso tempo diversa. Tralasciando il discorso prettamente artistico, il resto del lavoro è sempre cercare di risolvere un problema, ed è la parte che trovo piĂą stimolante.
Nel tempo poi hai avuto la possibilità di lavorare a importanti produzioni televisive, come pure in ambito pubblicitario. C’è differenza nell’approccio a queste due tipologie di prodotti, e ancora rispetto all’ambito cinematografico?
Sì, c’è sempre una differenza di approccio e dipende dalla destinazione d’uso. In ambito pubblicitario il focus è ovviamente sulla messa in risalto del prodotto, mentre nelle produzioni televisive deve essere sulla facile interpretazione, sulla chiara intelligibilitĂ . Nel cinema, secondo me, l’approccio invece dovrebbe essere incentrato esclusivamente a favore della narrazione, anche se spesso molti prodotti sembrano fare tutto il contrario…
Spesso mi capita di spiegare ai miei studenti che il concetto di “effetto visivo” non è soltanto quello evidente di Transformers o Avatar ma che anche i film più insospettabili hanno correzioni e interventi, anche se invisibili. Che effetto fa, in certi casi, avere un risultato sullo schermo che nessuno nota proprio perché non sa quanto si è dovuto intervenire?
Quando nessuno nota l’intervento significa che hai svolto alla perfezione il tuo lavoro e c’è da esserne fieri! Ottenere questo tipo di risultato richiede occhio, esperienza e molto impegno. Tuttavia le tempistiche di consegna sono spesso serrate e ti obbligano a scendere a compromessi. Nonostante ciò, essendo un lavoro che mi dĂ molta soddisfazione personale, cerco sempre di dare il 110% anche in condizioni non ideali… anche a discapito della mia sanitĂ mentale!

Come hai fatto notare anche tu poco sopra, all’interno di alcune produzioni cinematografiche l’abuso degli effetti digitali tende a volte a subordinare la storia e gli aspetti narrativi alla mera confezione ma non è sempre così e l’effettistica può essere un elemento creativo di grande valore per un film. Hai alcuni titoli da consigliare ai nostri lettori per far loro apprezzare tali aspetti?
Così su due piedi, mi viene in mente “I figli degli uomini” di Alfonso CuarĂłn: penso sia uno dei rari esempi in cui gli effetti sono in grado di coinvolgere emotivamente, trasmettendo alla perfezione ciò che provano i protagonisti. E poi mi sento di consigliare qualsiasi titolo di Christopher Nolan: “Memento”, “The Prestige”, “Inception”, “Interstellar”… devo continuare?
Bene, siamo alla fine! Non ci resta che chiederti qualche consiglio nel caso qualche giovane lettore volesse avvicinarsi a questo settore: software, scuole o percorsi da seguire. Hai qualche dritta utile da condividere?
Io rimango dell’idea che non ci sia migliore scuola della passione personale per i prodotti audiovisivi e della curiositĂ verso tutto ciò che riguarda il processo creativo che sta dietro a queste forme di espressione artistica. Andando però nel concreto, gli strumenti del mestiere veri e propri non sono mai software di facile utilizzo ed è molto difficile fare a meno di corsi e manuali ad essi dedicati, anche se non impossibile. Si può iniziare con Adobe After Effects o Fusion ma gli eventi piĂą importanti sono altri: provare, sbagliare e riprovare.
Ottimi consigli per chiunque voglia intraprendere questa difficile ma affascinante strada professionale: un colloquio con la “Industrial Light & Magic” è lì che vi attende.