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Dalla Spezia al MACRO di Roma per raccontare Metropoliz in OM: M. Grazia Cantoni, Andrea Luporini, Daniela Spaletra

Un'installazione sonora riproduce la quotidianità all'interno di Metropoliz, ex fabbrica occupata della periferia romana: ritradotta in spazio sarà presentata sabato nel Museo del centro città

Sarà presentato il prossimo fine settimana al MACRO di Roma OM / Out of Metropoliz il nuovo progetto di Maria Grazia Cantoni, Andrea Luporini e Daniela Spaletra. Con inaugurazione in programma alle 18 i tre artisti con base alla Spezia proporranno un’installazione sonora che riproduce la quotidianità di Metropoliz, l’ex salumificio occupato di via Prenestina, nella periferia romana.

Cos’è Metropoliz. Metropoliz è stata “fondata” nel 2009, il giorno in cui, forzando i cancelli dello stabilimento dismesso del salumificio Fiorucci, 200 persone (migranti e precari – oggi italiani, rom, sinti, sudamericani, africani) hanno occupato questo “relitto urbano” per farne la propria casa e sottrarlo alla speculazione edilizia. A difesa dell’occupazione e al fianco di chi si pre-occupa di emergenza abitativa dal 2012 si affianca l’arte con la nascita del Museo dell’Altro e dell’Altrove, a tutti gli effetti terzo museo d’arte contemporanea di Roma. Nato dal cantiere cinematografico Space Metropoliz il MAAM ha abbandonato presto la dimensione “speculativa e ludica” per farsi pratica edificante e costruttiva: con la partecipazione attiva degli artisti riqualifica spazi e reinventa luoghi di nuova socialità per chi vive Metropoliz, per il quartiere e per la città tutta.

Oggi questa realtà – dunque artistica, umana e politica – resiste ancora ed è da qui che è partita la ricerca di Maria Grazia Cantoni, Andrea Luporini e Daniela Spaletra. La loro collaborazione col MAAM è iniziata infatti nella scorsa primavera: con un’altra installazione, NOT MODULAR, originariamente realizzata per la rassegna “Eppur si muove” – curata da Gino D’Ugo a Fourteen ArTellaro, nella costa spezzina – poi presentata al MAAM con Gianfranco D’Alonzo nella sua Stanza della Preghiera. Oggi il progetto di D’Alonzo si sposta, col nome di Please, al MACRO Asilo (progetto sperimentale del celebre Museo della capitale italiana) per un mese di eventi, incontri e progetti legati alla spiritualità e alle ricerche artistiche che attraversano le pratiche religiose e politiche della stessa: “Sul tappeto – si legge – un recinto che crea un dentro e un fuori, ‘opera solo l’officiante’ mentre il pubblico si posiziona intorno oppure fuori”.

In questo contesto troverà spazio il ritratto sonoro della vita all’interno dell’ex fabbrica, dal costante rumore del traffico della consolare a quello dei generatori elettrici, dalle canzoni e dai giochi dei bambini alla vita dentro alla case sino alle chiacchiere durante le lunghe ore del picchetto davanti ai cancelli. Metropoliz, esempio di convivenza e apertura, negli ultimi mesi si è ritrovata a convivere con la minaccia di uno sgombero che lascerebbe senza un tetto centinaia di persone. I tre artisti rispondono alla minaccia con un’opera (-operazione) che tiene insieme la sacralità della vita quotidiana e della dimensione più autentica di questa realtà: quella, appunto, d’essere casa. Di seguito le parole che accompagneranno l’installazione a partire dal prossimo sabato 1° dicembre al MACRO – oggi MACRO Asilo – di Roma. Metropoliz fuori da Metropoliz, dalla periferia al centro città. Si può ascoltare qua: https://soundcloud.com/outofmetropoliz

Partire da un luogo, tracciarne una mappa sonora e tradurla in spazio.

Così può essere riassunto il lavoro realizzato all’interno di Metropoliz, l’ex salumificio occupato di via Prenestina 913. Un luogo “altro”, inteso come diverso ma anche ulteriore, dove i modi di vivere e convivere hanno confini che non corrispondono a quelli cui siamo abituati a pensare.

Un luogo su cui poter dire infinite parole ma per cui ne basterebbe una: CASA. Oggi, nel 2018, per situazioni simili a quella di Metropoliz di parole ne vengono usate altre: clandestino, illegale, abusivo, degrado, sgombero. Termini che non lasciano spazio alla realtà di un luogo abitato ma che lo trasformano in una zona grigia da nascondere sotto il tappeto o da radere al suolo per ripristinare il decoro. A Metropoliz la paura è forte, la serenità è sotto picchetto costante, come i cancelli presidiati dagli abitanti per paura di perdere la propria casa.

OM ricorda maldestramente il suono della parola inglese home, ma è anche il mantra più sacro dell’induismo, sillaba da pronunciare all’inizio e alla fine della recitazione dei Veda per evitare che la parola non abbia radici e che si dissolva, come pareti sonore poste a proteggere ciò che di più sacro esista.

I suoni registrati durante la nostra permanenza si sovrappongono, si dilatano, si rincorrono seguendo il loro naturale movimento, fra persone che arrivano, bambini che cantano, dialoghi improbabili su finte carriere calcistiche o la ricetta di un piatto peruviano, in un’ideale riscrittura della quotidianità di un luogo: Metropoliz portata fuori da Metropoliz, voci e rumori che trasformano le proprie diversità e unicità in un flusso sonoro che diventa archetipo di un’azione universale come quella dell’abitare.

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