Ci ho pensato un po’ di volte prima di iniziare a scrivere queste righe. Vale davvero la pena tentare di ricordare almeno un po’ quello che accadde 20 anni fa, in un luglio – me lo ricordo – caldo più o meno come questo?
All’epoca scrivevo già parecchie cose, recensioni di dischi per lo più. Quello che gran parte dei giovani della mia generazione chiedeva era un mondo abbastanza diverso da quello che ci aveva lasciato il secolo ormai trascorso. Un secolo di cambiamenti, idee politiche, rivoluzioni che in pochissimo tempo avevano dato un altro senso alla storia, per lo meno quella occidentale, come Eric Hobsbawm insegna.
Lo slogan che i giovani utilizzavano allora era una chiara richiesta di alternativa: “Un altro mondo è possibile”, si chiedeva da Seattle, da Praga, da Nizza, e anche da Genova. Chi manifestava aveva come obiettivo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica e farlo dai luoghi “del potere” in cui si riunivano i grandi della Terra per discutere di quello che sarebbe stato il futuro economico del mondo. I temi erano diversi, si passava dalla riforma delle istituzioni finanziarie alla riduzione del debito estero, si lottava per i diritti umani, si conoscevano le problematiche dei campesinos, si parlava di alternative agli OGM e – sembra quasi strano dirlo adesso – ci si occupava già di clima e ambiente, soprattutto dell’acqua e delle foreste.
Ora, tutti questi temi possono sembrare quasi scontati in un movimento di protesta generazionale, ma venti anni fa non lo erano affatto. La paura del passaggio da un secolo all’altro e da un millennio all’altro era quasi immotivata, per lo meno da un punto di vista tecnologico, i successivi dieci anni, l’inizio dell’epoca dei social media, avrebbero cambiato ancor più radicalmente le interazioni umane e la geopolitica internazionale. Nessuno lo avrebbe previsto.
Nel 2001 in molti sono stati testimoni della caduta delle torri di New York, ma ancora prima, in questa parte di mondo, che lo vogliate o no, ci sono stati i fatti di Genova e del G8. Una storia che ha visto come protagonisti centri sociali, ong, sindacati, attivisti, ambientalisti, famiglie, uniti in una severa e ragionata critica al capitalismo e alle sue forme di sfruttamento. La Rete era ancora agli albori, eppure veniva già usata in modo molto “primitivo” per organizzare e creare legami, era ancora un qualcosa di distinto, per capirci, dal telefono. Ci si organizzava da casa, dal computer, e poi si scendeva in piazza, ascoltando world music, elettronica, rock alternativo. Quello che mi ricordo, a 20 anni di distanza è stata una bellissima manifestazione iniziata al venerdì, piena di colori, di musica, di palloncini e di solidarietà. Poi il vuoto. Le azioni dei black bloc, la repressione della Polizia, la morte di Carlo Giuliani, i fatti della scuola Diaz.
Lucie Geffroy su Le Monde scrisse, in merito a quei giorni: “Quel rovesciamento momentaneo dei codici democratici ha modificato per sempre il rapporto degli italiani con la vita politica e l’impegno sociale”. Ed in effetti oggi, in qualsiasi grande manifestazione di piazza, la memoria va a quello che accadde durante il G8 di Genova. Venti anni dopo si parla ancora di ambiente, di clima, di disuguaglianza e ci troviamo a vivere quello che all’epoca era solo nelle carte. Possiamo dire che hanno vinto loro? Le multinazionali contro la rabbia popolare? Per quello che mi riguarda e che ho vissuto, avendo una certa idea di mondo a partire da quegli anni, il 20 luglio 2001 a Genova è finito il movimento no-global, si è disperso, neutralizzato, annientato.
Quello che sappiamo è che le potenze mondiali che allora stavano nella zona off limits della città ligure, hanno ottenuto un mondo forse diverso da quello che esse stesse avevano preventivato. Di lì a poco l’11 settembre, l’instabilità, un policentrismo e una paura che ancora non era conosciuta, l’integralismo e persino una pandemia.
Cosa è cambiato da allora? E come ci appaiono oggi quei giorni, a 20 anni di distanza? Ne parleremo in queste settimane e se volete raccontateci le vostre esperienze!