Sono ormai passati 31 anni da quando avvenne l’incidente nello stabilimento di insetticidi Farmoplant di Massa. Viene ricordato come uno dei disastri ambientali più gravi del Centro Italia. Negli ultimi giorni si è riparlato parecchio delle falde acquifere ancora inquinate nei territori contaminati da quanto accaduto.
Cosa è successo
Sono le 6 e 10 del 17 luglio 1988, nell’impianto per i formulati liquidi di Farmoplant c’è una grande esplosione seguita da un’altra 5 minuti dopo, in un serbatoio che contiene oltre 50mila litri di insetticida dimetoato (Rogor). Subito si produce un incendio che libera nell’aria fumi e vapori tossici.
La temperatura dell’impianto piano piano aumenta e porta ad una serie di altri incendi. Viene prodotta una nube nera ben visibile anche a distanza e i vigili del fuoco lavorano per diverse ore prima di riuscire a spegnere l’incendio principale a fine mattinata.
I primi comunicati della protezione civile sono rassicuranti, indicano la nube tossica come maleodorante ma non inquinante e non richiede particolari interventi di monitoraggio. Trasportata dai venti, tuttavia, la nube si diffonde per oltre 2mila chilometri quadrati.
L’USL di Massa raccomanda di non consumare frutta e verdura nella zona e viene disposto il divieto di balneazione nei pressi del torrente Lavello, non molto distante dalla Farmoplant, mentre il governo decreta la chiusura dello stabilimento per 6 mesi in attesa di verifiche tecniche.
In occasione della visita di alcuni ministri a Massa ci sono degli scontri in piazza. La produzione nella Farmoplant non è destinata a riprendere e nel 1991 lo stabilimento viene chiuso da Montedison.
La storia di Farmoplant
Lo stabilimento era molto conosciuto nella provincia di Massa Carrara, in esso lavoravano centinaia di persone. Era stato inaugurato nel 1976 da Montedison sotto la forte spinta del Governo che voleva limitare i già alti livelli di disoccupazione e deindustrializzazione dell’area.
Già nei primi anni di attività, però, si verificano carenze per quanto riguarda la gestione della sicurezza non solo dei lavoratori ma anche per la popolazione delle aree adiacenti all’industria. Nel 1980 si manifesta un primo incendio in un magazzino non autorizzato che sprigiona una nube solforosa che fa si che l’Amministrazione di Massa chiedesse la sospensione dei lavori, mentre il Governo decise di istituire una commissione per verificare la sicurezza della Farmoplant.
I controlli durarono 5 mesi, assieme a mediazioni tra sindacati, azienda e Governo per riaprire lo stabilimento e tornare a far lavorare gli operai. In città nacquero due schieramenti: cittadini e attivisti contrari alla presenza dell’impianto possibile pericolo ambientale e istituzioni e lavoratori che non volevano che la fabbrica venisse chiusa generando gravi problemi di disoccupazione.
Nel 1986 la Toscana comunicò che la Farmoplant era stata inserita tra le aziende “ad alto rischio”, mentre Montedison si impegnò ad investire 10miliardi di Lire per eseguire lavori di ristrutturazione. La spesa finale però fu molto inferiore e dedicata solo in parte alla messa in sicurezza, privilegiando lavori per l’efficientamento della produzione.
Un anno dopo venne organizzato un referendum consultivo (il primo in Europa) con cui i comuni più vicini alla Farmoplant (Massa, Carrara e Montignoso) avvallarono la richiesta di chiusura degli stabilimenti. In seguito il comune di Massa revocò i permessi per la produzione, ma l’industria ricorse al TAR della Toscana che permise di riaprire lo stabilimento definendolo sicuro al “99,999 %”, generando polemiche e critiche nelle organizzazioni locali.
Le conseguenze
A 30 anni dal disastro ambientale continuano ad esserci dei problemi nelle aree interessante direttamente dall’incidente. A fine anni ’80 fu istituita una commissione per valutare il piano di bonifica della zona che fu però criticata per essere molto approssimativa. La bonifica iniziò comunque nel 1991 e durò fino al 1995, curata dalla società Cersam. Vennero messi in primo piano la qualità dell’acqua e le sue contaminazioni e a fine anni ’90 fu deciso che le acque potessero nuovamente confluire nel torrente Lavello.
Nel frattempo iniziò una causa legale che vide contrapposte Edison (che aveva ereditato il marchio Montedison) e la provincia di Massa Carrara che richiese risarcimenti per danni ambientali. Nel 2010 venne proposto un risarcimento da parte dell’industria che provincia e comuni coinvolti accettarono nonostante molti ritennero che fosse del tutto inadeguato al danno subito. Rispettivamente furono dati 600mila Euro al comune di Carrara, 750mila a quello di Massa e 250mila alla Provincia.
Nonostante diversi interventi l’area in cui si svolgeva l’attività di Farmoplant rimane ancora inquinata. Venne autorizzato uno smaltimento di rifiuti liquidi non idoneo che portò a nuove contaminazioni, mentre rifiuti solidi furono interrati in diverse zone dello stabilimento, comportando ulteriori rischi.
Oggi
Oggi i dati raccolti in 149 pozzi di Massa e Carrara per conto di Sogesid (società in house del Ministero) nei laboratori di Arpat, non dicono nulla di buono. Quei veleni ci sono ancora e stanno proprio li, dove la gente vive e lavora.
“I dati analitici attestano il superamento dei limiti di inquinamento delle acque sotterranee principalmente in corrispondenza delle aree industriali dismesse”, si legge nel comunicato stampa dell’Arpat Toscana.
Tra i veleni presenti ci sono ammoniaca, antiparassitari, arsenico, benzene, cloruro di vinile, cromo, idrocarburi total, manganese, paraxilene, pcb, solfati e zinco. Il cromo esavalente, per esempio, in alcuni pozzi è presente in percentuali dai 12 ai 42 milligrammi per litro quando il limite di legge è 0,2.
Adesso gli ambientalisti chiedono l’immediata chiusura dei pozzi e l’avvio di una ulteriore bonifica.