Federico Gusso, dalla Spezia tra filmmaking e avventura

Inizia a fare caldo qui all’Overlook Motel, la bella stagione è alle porta e mai come ora, per gli appassionati di natura, è il momento di pensare a viaggi, escursioni e camminate in luoghi lontani e affascinanti. C’è chi lo fa con il pensiero, ancora distante qualche mese dalle agognate vacanze, e chi invece si ritrova a farlo per lavoro, prima che per passione. E questa persona, manco a dirlo, è il nostro nuovo ospite, appena presentatosi alla reception del piano terra.

Federico Gusso, spezzino classe 1988, lavora prevalentemente nell’ambito del documentario antropologico, naturalistico e di viaggio. Nel corso degli anni ha realizzato numerosi documentari e docuserie per importanti reti nazionali come Rai 3, Sky e De Agostini, girando in diverse parti del mondo. Nel 2021 ha fondato a Bergamo, dove attualmente risiede, la Boulder Way Films, una casa di produzione specializzata nel racconto documentaristico in tutte le sue forme, con particolare attenzione all’esplorazione, alla natura e alla scoperta culturale.

Ciao Federico, il tuo è un meno frequente caso di professionista che ha iniziato da completo autodidatta. Come è avvenuto il tuo primo contatto con il mondo dell’audiovisivo?

Sì, è vero, sono autodidatta in molte delle cose che faccio, dalla fotografia alla musica, e nel tempo ho capito che questo è il metodo che meglio si adatta al mio modo di apprendere. Non ricordo un vero e proprio “momento zero” in cui ho scoperto il mondo dell’audiovisivo, almeno non oltre la mia passione da spettatore per il cinema, ma fin da piccolo ho sempre amato scrivere e raccontare storie. Un giorno, come accade a tanti, mi sono ritrovato con in mano la macchina fotografica di qualcuno e… quello è diventato il mio modo di raccontare.

Iniziato il percorso poi non hai mai frequentato scuole, accademie o workshop e la tua esperienza te la sei fatta tutta sul campo. Come è avvenuta la tua crescita professionale?

Federico Gusso, dalla Spezia tra filmmaking e avventura - alessio ciancianaini, cinema

Proprio come si potrebbe immaginare: tanto studio e molta gavetta. Una volta capito che attraverso questo linguaggio potevo raccontare storie, ho iniziato a chiudermi in camera e passare ore su internet e YouTube per capire come funzionasse quello strano oggetto fatto di ferro, vetro e plastica che avevo tra le mani. È importante dire che questo processo non finisce mai. Ma lo studio non basta: serve anche lesperienza vera, quella sul campo. Così ho cominciato a contattare professionisti della mia zona per collaborare e imparare. A un certo punto la fotografia non mi bastava più: sentivo il bisogno di raccontare con più respiro, e così il passaggio al filmmaking è stato naturale.

A un certo punto poi hai avuto la iattura di incontrare un regista abbastanza fuori di testa, in poche parole il sottoscritto, e hai preso parte alla tua prima produzione cinematografica come operatore sul set di un cortometraggio. Come è stato il primo impatto con un mondo più narrativo?

L’incontro con Ciancianaini è stato lerrore più grande della mia vita… e me ne pento ogni giorno! Scherzo, ovviamente. Anche se un fondo di verità c’è, perché ora tutto questo è un’ossessione! Sei stato, allinizio, uno di quei contatti da cui speravo di imparare qualcosa, e alla fine ne è nata una collaborazione vera e propria. Quella del cortometraggio fu unesperienza indimenticabile. Vivere in prima persona la creazione di una storia è stato illuminante, un passaggio fondamentale per la mia crescita professionale.

Già da allora hai iniziato a utilizzare quello strano accrocchio chiamato Steadicam, affinando poi sempre di più la tua tecnica con tale attrezzatura. Puoi spiegare di cosa si tratta per chi tra i nostri lettori non ne è a conoscenza, e cosa comporta di diverso rispetto ad altri tipi di ripresa?

L’operatore Steadicam è una figura a sé nel mondo del cinema. Non è un semplice operatore camera: è un professionista specializzato, quasi una categoria a parte. La Steadicam è uno stabilizzatore che consente di ottenere immagini fluide anche mentre si cammina o si corre. Con questo sistema, operatore e macchina da presa diventano una cosa sola, liberi di muoversi nello spazio, di girare attorno a persone e oggetti, rendendo lesperienza visiva più immersiva e dinamica. Ma non si tratta solo un equipaggiamento tecnico: è un linguaggio. Dietro c’è tutto un universo fatto di equilibrio, sensibilità, controllo. In quel momento, tu e il tuo corpo diventate letteralmente la macchina da presa.

Federico Gusso, dalla Spezia tra filmmaking e avventura - alessio ciancianaini, cinema

Cortometraggi a parte, possiamo ora però svelare che la tua passione più grande è certamente quella legata allavventura e quindi al documentario. Come ti muovi sul lavoro per coniugare le due cose al meglio?

Il documentario è il tipo di prodotto a cui dedico la maggior parte delle mie energie artistiche, e lavventura ne è quasi una diretta conseguenza. Amo viaggiare, fare bushcraft, trekking, arrampicata. Andare alla scoperta di nuovi luoghi e nuove persone è da sempre la mia spinta principale. Il documentario nasce proprio da questo: trovare storie nel mondo reale e raccontarle attraverso il mio punto di vista. C’è una frase che ripeto spesso e che, secondo me, racchiude bene tutto questo:

Una storia raccontata è una vita vissuta.”

E grazie alla tua crescita continua sei arrivato anche a collaborare con un importante regista come Valter Torri, autore di tantissimi documentari naturalistici. Che effetto fa vedere le proprie immagini inserite in prodotti di così alto livello e distribuiti su larga scala?

In realtà, credo di non aver realizzato fino in fondo la cosa, almeno non subito. Per me è stato un processo graduale, fatto di piccoli passi. Sono passato da progetti più semplici, come video promozionali o spot (ricordo ancora il lancio di Windows 10), fino ad arrivare una docuserie per De Agostini e poi ai documentari per la Rai. Quando i tuoi lavori iniziano ad andare in onda su programmi come Geo o Kilimangiaro, te ne accorgi soprattutto perché te lo fanno notare gli altri. Allora ti fermi un attimo, guardi indietro e capisci di essere sulla strada giusta.

Ed ora, come quesito finale, visti i tanti viaggi che hai compiuto sia per lavoro che per avventura, cosa ti senti di consigliare a chi magari vorrebbe intraprendere un percorso simile al tuo?

Consiglio di non aspettare il momento giusto, perché molto probabilmente non arriverà mai. So che potrà sembrare banale ma io davvero non ci ho mai pensato. Iniziate con quello che avete: una macchina fotografica qualsiasi, unidea, un amico disposto ad aiutarvi. Siate curiosi, tanto, sbagliate e imparate da ogni errore. E, soprattutto, buttatevi!

Ringraziamo Federico per aver condiviso con i nostri lettori la sua esperienza, e crediamo che sia stata l’ennesima occasione per far conoscere al pubblico alcuni aspetti interessanti ma meno conosciuti del “dietro le quinte” del mondo del filmmaking. In attesa del prossimo ospite dell’Overlook Motel.

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