Un ragazzo di 21 anni ruba in un supermercato. Ruba alcolici, non sappiamo perché. Magari gli piacciono, magari era un furto su commissione. Magari no. Viene fermato e arrestato dai carabinieri, fine della storia.
O almeno dovrebbe esserlo.
Invece oggi, appena una notizia del genere compare online, la vera sentenza si scrive nei commenti. E così, sotto il post, spuntano parole che gelano più del fatto stesso: “bisogna ingessargli le mani”, “e pure le gambe, già che ci siamo”.
Un’idea di giustizia primitiva e antisociale, che non chiede di capire, ma solo di colpire.
Riflettendoci mi viene ovviamente da pensare che si fa ancora una grande confusione tra giustizia e vendetta. Sembra quasi sdoganato ormai il concetto che chi ruba deve per forza soffrire, chi sbaglia va punito davanti a tutti, chi commette un reato non merita alcuna pietà. Insomma la pena – che dovrebbe essere un deterrente e anche un’occasione di riscatto – diventa una sorta di spettacolino social da somministrate a tutti a dosi altamente avvelenate. Però forse non eravamo rimasti alla giustizia che è dello Stato e non dei singoli cittadini?
Un cittadino o una cittadina che dicono che sarebbe giusto “spezzare le mani” a un ladro, porta ordine o lo distrugge?
C’è una retorica ben precisa dietro il “facciamogliela pagare”, ovvero quella di uno Stato che è lento e ferraginoso, che non funziona più, con leggi troppo moribide e giustizia lenta. Condizioni adatti per legittimare la giustizia privata fai da te e la trasformazione della rabbia in ideologia. È come passare letteralmente dal chiedere più sicurezza al semplice “facciamo del male a chi sbaglia”. Ma siamo sicuri che la rabbia e la ferocia siano così virtuose da portare ad una città, ad un comune idilliaco in cui tutti si prendono per mano e camminano felici verso il futuro?
Chi vuole fare violenza fisica contro chiunque commetta anche il più piccolo dei reati ha molta confusione nella testa, perché un conto è difendersi da un’aggressione e un altro è quello di voler punire: voler spezzare mani e le gambe a un ragazzo di 21 anni che ha rubato una bottiglia di superalcolici o un pacco di pasta non è “giustizia popolare”, è barbarie.
E non è nemmeno legittima difesa: è un reato.
Ma a rendermi perplesso è spesso la quantità di commenti accondiscendenti al linciaggio, sintomo di una società in cui la violenza viene applaudita più della legge stessa. Ok, posso capire, che molti abbiano smesso di credere nella giustizia perché se ne vede poco l’efficacia, ma allora ci si accontenta di qualcosa di più immediato come lo sfogo, la punizione, le scudisciate e magari i trattamenti che Hamas o l’Iran riservano ai traditori? Davvero?
Il ragazzo che ha rubato dovrà rispondere delle sue azioni, davanti a un giudice. Gli verrà comminato praticamente nulla? Una pacca sulle spalle non farlo più?
Chi lo vorrebbe “ingessato” invece dovrebbe rispondere davanti a sé stesso. Perché invocare violenza in nome della giustizia non rende più forti, solo più simili a ciò che si dice di odiare, incivili e provenienti da un altro mondo, in cui non esiste uno stato di diritto e una civiltà.
La vera forza di una società si misura proprio nel momento in cui riesce a non farsi trascinare dalla rabbia, ma anche nel ricordare, ogni volta, che la giustizia non si fa con le mani, ma con la legge.
