7 Novembre 2024, giovedì

Un progetto SDS Lunigiana: le conseguenze della pandemia sulla psiche

Durante la prima fase della pandemia, nella primavera dello scorso anno, a dominare era stata la paura del contagio e l’idea di una malattia che avrebbe dato seguito a una morte certa, atroce e in solitudine. Ciò ha fatto sì che, come cittadini, accettassimo il primo lockdown come l’unica soluzione possibile. Sicuramente ha aiutato anche l’idea che tutto ciò sarebbe stato provvisorio e, soprattutto, confinato negli ospedali.

A partire dalla seconda fase, quella di convivenza con il virus, il Covid-19 non è più confinato nell’ospedale, è in mezzo a noi: le persone più vicine, noi stessi, tutti diventiamo potenziali pericoli l’uno per l’altro. Questa condizione implica uno sforzo emozionale sul controllo, che, in condizioni di normalità, non è conosciuto dai più in questo modo massiccio, poiché la convivenza sociale si fonda su un’implicita fiducia che l’altro non sia pericoloso.

E per affrontare le conseguenze della pandemia sulla psiche, la Società della Salute della Lunigiana ha dato vita ad un progetto, le cui azioni sono parte integrante della Programmazione Operativa Annuale (POA) per il 2021, che ha coinvolto e continuerà a coinvolgere il personale sanitario, i referenti dei centri di aggregazione giovanile, le scuole e le associazioni del territorio.

Si è iniziato con due incontri molto partecipati, durante i quali si è discusso partendo dai vissuti delle persone.

“Perché quello che sta accadendo – spiega Viviana Fini, psicologa e psicoterapeuta che sta portando avanti il progetto per la SdS Lunigiana – ci potrebbe far pensare che a stare male siano solo alcune categorie, ad esempio i giovani o gli anziani. Invece no: siamo tutti coinvolti in una vicenda inedita e dinamica, alla quale è necessario dare senso. Quello che è stato vero nella prima fase della pandemia, non è più quello che abbiamo vissuto nella seconda fase o che viviamo oggi”.

“Ad esempio: il vissuto di infinito presente entro cui ci siamo sentiti nella seconda fase, per non avere chiaro quanto questa vicenda sarebbe durata e se e come ne potremo uscire, la difficoltà a recuperare una progettualità, se pur minima; tutto questo ci sta impegnando sul piano emozionale a partire dalla seconda fase e, se non rielaborato, dà luogo a comportamenti critici, individuali e collettivi. Dare senso, insieme, a ciò che stiamo vivendo significa costruire categorie di comprensione che ci possono aiutare a configurare una nuova progettualità”.

“Certo, questa situazione è sicuramente molto critica per i ragazzi, costretti a confrontarsi con le continue aperture e chiusure delle scuole: ciò aumenta la sensazione che il contesto in cui viviamo è instabile e rende difficile concentrarsi per essere produttivi. Accanto a ciò, sono venuti meno tanti oggetti e situazioni di investimento emozionale, che davano piacere, e assistiamo a nuove configurazioni dei nostri investimenti emozionali, alcune delle quali diventano problematiche (ad esempio: l’uso smodato dei social, il cibo, l’alcool). Ma cogliere queste dimensioni come oggetti del piacere, piuttosto che come indicatori di patologia, ci sembra importante per comprendere il fenomeno, per contestualizzarlo e anche per potervi intervenire” sottolinea Viviana Fini.

Agli incontri già effettuati ne sono seguiti altri, coi sindaci, con la consulta di partecipazione del terzo settore, con i sindacati e con i diversi attori operanti sul territorio, in modo da raccogliere e fornire indicazioni per poter lavorare, ognuno a partire dal proprio specifico, su alcune questioni.

“Perché questi vissuti – aggiunge Viviana Fini – sottolineano un tema centrale: quanto sia difficile vivere quando sentiamo il contesto instabile. Quello che ci sentiamo di proporre a tutti quelli che hanno un compito istituzionale e’ proprio quello di adoperarsi avendo a mente questa questione, per esempio occupandosi di mantenere una comunicazione stabile con la cittadinanza che la aiuti a comprendere meglio quello che sta accadendo”.

“Come Società della Salute abbiamo promosso un primo progetto per lavorare su e con i giovani: si tratta di costruire e sviluppare una comunità educante che metta insieme i soggetti che hanno a che fare coi giovani, in primis le scuole, i centri di aggregazione e i genitori, ma anche le altre risorse del territorio. Comunità educante significa, infatti, lavorare insieme per capire cosa ci sta accadendo e per riconfigurare un terreno entro cui progettare un presente e un futuro”.

Redazione
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