In un mondo sempre più connesso, dove la digitalizzazione consente a molti di lavorare da qualsiasi parte del globo, la figura del nomade digitale si è imposta come simbolo di libertà e innovazione. Ma questa libertà può davvero rappresentare una soluzione per la rinascita dei borghi spopolati?
L’antropologa Anna Rizzo, intervenendo pochi giorni fa nel talk show Connessi su Sky TG24, ha descritto un panorama inquietante per i piccoli centri italiani: “Stiamo parlando di paesi con 200, 300, massimo 1000 abitanti, con popolazioni molto anziane e in assenza di un ricambio generazionale. In molti casi, questi borghi rischiano di scomparire nel giro di 20 anni”. La Rizzo ha poi evidenziato come il bando borghi del PNRR, progettato per finanziare la rinascita di queste aree, abbia finito per creare divisioni tra i sindaci, ponendo in competizione territori che prima collaboravano.
In questo scenario si inserisce il fenomeno dei nomadi digitali, professionisti che, armati solo di laptop e connessione internet, possono scegliere dove vivere e lavorare. Negli ultimi anni, la Lunigiana ha visto crescere l’interesse di questi lavoratori itineranti, attratti dalla bellezza del territorio e dalla tranquillità dei suoi borghi. Progetti come Start-Working Pontremoli hanno favorito l’arrivo di professionisti da tutta Europa, con l’obiettivo di offrire uno spazio di coworking e di comunità in cui i nomadi digitali potessero integrarsi nel tessuto locale.
Ma la domanda resta: possono davvero i nomadi digitali invertire la tendenza allo spopolamento? Secondo un rapporto dell’IRPET (Istituto Regionale per la Programmazione Economica della Toscana), i nomadi digitali possono rappresentare un’opportunità importante, ma con dei limiti. “La loro presenza può dare ossigeno all’economia locale”, afferma il rapporto, “ma la natura temporanea del loro soggiorno rischia di non garantire una rinascita stabile e duratura”.
Il rischio è che la presenza di questi professionisti resti episodica, una sorta di turismo digitale che porta benefici immediati senza tradursi in un ripopolamento autentico.
C’è però un altro aspetto da considerare: i nomadi digitali possono fungere da catalizzatori culturali. La loro presenza spesso porta nuove idee, modelli di lavoro innovativi e stimoli per attività sociali e creative. In alcuni borghi della Lunigiana, l’arrivo di questi professionisti ha innescato un fermento culturale che ha coinvolto anche i residenti storici, contribuendo a rilanciare iniziative culturali e piccole imprese locali.
Da qui nasce la sfida più grande: trasformare i soggiorni temporanei in scelte di vita permanenti. Offrire non solo connessioni internet veloci e spazi di coworking, ma anche opportunità di integrazione sociale, culturale ed economica. La Lunigiana sta sperimentando questa strada, cercando di legare i nomadi digitali al tessuto comunitario attraverso eventi, attività di volontariato e facilitazioni per chi decide di acquistare una casa o avviare un’attività.
Come scriveva Marc Augé, “I nonluoghi sono spazi che non integrano storie, relazioni e identità, ma se un luogo si riempie di vita, cultura e comunità, torna a essere qualcosa di più”. I borghi della Lunigiana possono sfidare il deserto dello spopolamento se sapranno abbracciare le opportunità offerte dai nomadi digitali, ma solo a patto che questi diventino non solo visitatori, ma parte integrante della loro storia futura. La vera sfida sarà far sì che il lavoro da remoto non si traduca in una presenza evanescente, ma in una rinascita duratura, fondata su nuove comunità che riscoprono il valore dell’abitare il territorio.