Nonostante sia trascorso un tempo così lungo il ricordo di Gordon Lett nel pontremolese, nello zerasco e nei territori vicini è ancora vivo: per la sua figura carismatica, per il contributo dato alla guerra di Liberazione, per l’affetto dimostrato nei confronti della popolazione locale. Il maggiore inglese (1910-1989) fuggì dal campo di prigionia di Veano (PC) il 10 settembre 1943 con l’intento di unirsi alle forze armate britanniche, ma il destino gli riservò un futuro molto diverso: trovò infatti rifugio nella valle di Rossano dove riuscì ad organizzare la Resistenza con un eterogeneo gruppo di altri militari fuggiti dai campi e con giovani del luogo. A Zeri, nell’impervio Appennino tra Toscana, Liguria ed Emilia, 75 anni fa nasceva così quel Battaglione Internazionale che avrebbe combattuto a fianco dei partigiani contro i nazifascisti per venti lunghi mesi, fino alla vittoria.
Negli anni che seguirono Gordon Lett descrisse quel periodo in due libri, “Vallata in fiamme” (1949) e “Rossano” (1955). Tuttavia in Inghilterra restava inedito un prezioso archivio custodito dal figlio, l’avv. Brian Gordon Lett, costituito da diari, documenti e fotografie.
Dalla collaborazione tra l’Istituto Storico della Resistenza Apuana e Brian nasce ora, dopo un lungo e accurato lavoro, “Gordon Lett. Amico dell’Italia” un libro che, accanto alla descrizione dei fatti, propone – per la prima volta in modo organico – le immagini di luoghi e protagonisti, a settantacinque anni da quei terribili mesi. Sono più di 100 fotografie (in gran parte inedite) che ci ripropongono volti e situazioni di un periodo di storia tutto sommato breve ma di straordinaria importanza per il nostro vivere oggi in un’Italia libera e democratica.
Le immagini ci mostrano prima Gordon Lett giovane ufficiale in India, poi in Africa e “finalmente” nelle nostre montagne, tra Rossano e Albareto; con altri ufficiali e militari alleati, con i partigiani della zona, con i civili il cui aiuto fu determinante. Ci sono i grandi amici di Gordon Lett: quelli che ce l’hanno fatta come Tarquinio Deluchi, Daniele Bucchioni e Federico Salvestri “Richetto” e quelli che hanno sacrificato la propria vita per la Libertà come Antonino Siligato. Foto rare e straordinarie come la Messa al campo davanti all’ospedale “dei partigiani” di Albareto o come quelle dei lanci alleati a Rossano; e poi la presenza di Gordon Lett a Pontremoli fino all’immagine inedita della jeep in piazza della Repubblica una settimana dopo la Liberazione e a quelle degli incontri con i partigiani nel palazzo comunale.
Ma non vi è alcun dubbio che uno dei motivi perché la società pontremolese ricordi ancora in modo così nitido la figura e le azioni del magg. Gordon Lett sia lo stretto rapporto che questi ha avuto con mons. Sismondo; un rapporto iniziato a distanza già prima di conoscersi di persona, grazie alla fama che caratterizzava entrambi e che, fatto di stima reciproca, riuscì ad evolvere in gratitudine e amicizia rendendo possibili risultati di grande portata come la richiesta del vescovo al maggiore che venissero evitati nuovi bombardamenti alleati su Pontremoli e che le formazioni partigiane rinunciassero ad attaccare la città ancora occupata da un forte presidio tedesco. Fu così che la città venne risparmiata e tante vite salvate.
E poi ci sono le immagini del dopo e dei tanti viaggi che il maggiore compì nel nostro territorio, per ringraziare, per ricordare; eccolo così a Reggio Emilia a fianco del Presidente della Repubblica e di Alcide Cervi; ed eccolo a Pradalinara, tra Pontremoli e Rossano, per l’inaugurazione del monumento assieme a mons. Sismondo.
Il racconto che il figlio di Gordon Lett, Brian, ci propone nelle pagine introduttive del libro è denso di informazioni, ricco di spunti e di riflessioni. Quello che emerge è il punto di vista che quell’ufficiale, arrivato a Rossano nell’autunno 1943, ha descritto nei diari ma che non sempre ha riportato nei suoi libri pubblicati nel decennio successivo alla fine della guerra, in anni nei quali il proprio ruolo nell’esercito e il clima politico internazionale lo obbligarono a mantenere una forma di autocensura. Un punto di vista, il suo, nel quale traspare con forza lo stretto rapporto con la gente di Rossano alla quale fu per sempre grato: per avere accolto lui e i suoi soldati, per averli nascosti, sfamati e difesi a dispetto della violenza subita da parte dei nazifascisti che misero in atto nelle valli di Zeri ogni forma di repressione antipartigiana ai danni dei civili.
Un racconto prezioso anche perché ci svela particolari e un punto di vista talvolta diverso, comunque complementare, a quello noto. Un racconto nel quale non mancano neppure i riferimenti, sia pure a volte impliciti, ai rapporti con le altre formazioni partigiane: quasi fraterno quello con Daniele Bucchioni e la sua brigata, di grande collaborazione quello con la “Cento Croci” e la “Beretta”, più problematici quelli con le formazioni garibaldine di ispirazione comunista. Del resto non bisogna dimenticare che c’era sì ancora una guerra da combattere e un nemico da sconfiggere definitivamente, ma già si pensava al dopo e ad un nuovo ordine mondiale che avrebbe visto inevitabilmente su fronti diversi quegli uomini che al momento erano schierati dalla stessa parte.
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