C’è un certo entusiasmo – a tratti ingenuo, a tratti rassegnato – che traspare dal nuovo rapporto IRPET sullo stato dell’informazione in Toscana. Come se qualcuno avesse appena scoperto che esiste Internet. E che, incredibilmente, la gente lo usa per leggere notizie.
I-N-C-R-E-D-I-B-I-L-E-!
Il dato è servito con l’aria solenne di una rivelazione: cresce l’editoria online, mentre stampa, tv e radio tradizionali soffrono. Davvero? Chi l’avrebbe mai detto. Era il 1994 quando il primo giornale italiano mise i piedi sul web. Da allora sono passati poco più di trent’anni. Un battito di ciglia, per chi misura il tempo con il calendario Maya.
Il rapporto, curato da IRPET su incarico del Corecom Toscana, ci restituisce una fotografia sgranata ma significativa: un settore in trasformazione, dove il numero degli operatori regge, ma la fisionomia degli attori cambia rapidamente. L’impressione, però, è quella di una mutazione non governata, lasciata al caso, al talento dei singoli e – troppo spesso – alla precarietà assoluta. La crescita del numero di soggetti iscritti al ROC non corrisponde a una crescita di valore o di stabilità. Anzi: il cuore del problema è proprio lì, in un’iperproduzione comunicativa che somiglia più a una giungla di contenuti che a un ecosistema sano.
Dal punto di vista economico, l’informazione in Toscana sembra vivere una fase di bipolarismo strutturale: da una parte poche realtà editoriali più solide, ben strutturate e in grado di consolidarsi. Dall’altra una moltitudine di microimprese, professionisti freelance, start-up e sperimentazioni digitali che vivono spesso al confine tra autoimprenditorialità e auto-sfruttamento. A tenere in piedi il settore sono spesso energie giovani, competenze elevate, una creatività instancabile. Ma non basta.
L’occupazione è l’altro grande nervo scoperto. Il 96,7% dei nuovi contratti attivati è a tempo determinato o in forme atipiche. Solo il 3,3% è a tempo indeterminato. Una cifra che da sola racconta meglio di qualsiasi saggio lo stato di un settore che produce valore culturale e informativo, ma che fatica a garantire dignità e futuro a chi ci lavora.
Ci sono luci, certo: nuove produzioni, servizi in espansione, dinamismo, adattabilità. Ma ci sono anche troppe ombre, troppe solitudini professionali, troppa instabilità cronica. La retorica dell’innovazione, se non accompagnata da politiche strutturali di sostegno e da un investimento serio nella qualità e nella sostenibilità dell’informazione, rischia di trasformarsi nell’ennesima foglia di fico.
L’online non è il futuro. È il passato che ancora non abbiamo capito. Ed è questo il vero problema.