Esattamente a metà strada tra Pitagorà ed il seminario per insegnanti e genitori organizzato per sabato prossimo dalla residenza Madre Cabrini DCA, abbiamo parlato con Sofia Demartis, biologa nutrizionista della struttura.
Partiamo dal già accaduto: venerdì scorso com’è andata? «Molto bene, abbiamo lavorato per gruppi e l’obiettivo del mio stand non era ovviamente quello di parlare di diete (di cui si parla già abbastanza). Piuttosto: fornire strumenti per gestire l’alimentazione». Fuori ogni tipo di prescrizione, bilance pesa alimenti eccetera: «Abbiamo parlato loro di piramide alimentare, piatto del mangiar sano di Harvard, movimento inteso come riduzione del tempo di inattività. Anche per questo è il linguaggio a dover cambiare: non si tratta di essere prescrittivi né di pensare allo sport ‘vero e proprio’, per forza, ma piuttosto di curare il proprio tempo scegliendo di stare in piedi e con gli altri. Ridurre – appunto – l’inattività».
E invece in cosa consiste il seminario di sabato prossimo? «È un seminario per genitori e insegnanti, da molti anni organizzato nei centri di Todi – dove ha sede, con l’ASL Umbria, la nostra supervisione scientifica. Parteciperanno psichiatri e psicoterapeuti che tratteranno i temi del disagio giovanile e dei Disturbi della Nutrizione e Alimentazione (DNA) in due sessioni, una teorica, una pratica. Le adesioni sono circa cinquanta».
Venendo a te: raccontaci chi sei, da dove vieni, di cosa ti occupi. «Io vengo dalla Sardegna, ho 29 anni ed ho una formazione classica da biologa nutrizionista. Fin dalla magistrale mi sono occupata sia di cooperazione internazionale sia di DNA, a cui poi mi sono dedicata. Ho fatto un tirocinio nel centro di Todi, la tesi di laurea con la dottoressa Laura Della Ragione, che sabato parteciperà, da lì è cresciuto l’interesse che mi ha portato in Lunigiana. Da professionista membro dell’equipe multidisciplinare del Madre Cabrini DCA, curo l’aspetto nutrizionale dei percorsi seguendo i pazienti che presentano patologie diverse come anoressia nervosa, bulimia nervosa, binge eating disorder o disturbo da alimentazione incontrollata».
«Studio ancora. Proprio ora mi sto specializzando con un master di secondo livello in disturbi dell’alimentazione e obesità mentre mi sto avvicinando al mondo della mindful eating, derivazione della mindfulness, particolarmente benefica sia per chi ha un rapporto conflittuale col cibo sia per riprendere consapevolezza alimentare nella vita quotidiana. Non dobbiamo dimenticare – conclude Sofia – che questo problema è ormai diffuso nella maggior parte della popolazione, non necessariamente come disturbo ma come automatismo derivante dal nostro stile di vita. Parlo di questo ed altro nel mio profilo Instagram».
L’equipe del Cabrini (centro privato convenzionato ASL) è formata da circa 30 persone stabili tra psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, biologi nutrizionisti e dietisti più figure ausiliare non secondarie come educatori, fisioterapisti, infermieri, oss, cuoche eccetera. «Sono tutte persone indispensabili per il lavoro, per il buon funzionamento della struttura (e della cura)». I posti letto, in totale, sono 60. Le età diverse: la più piccola paziente ha 13 anni, il più grande 55, 60. L’approccio del centro? «Il Madre Cabrini DCA crede fortemente nel trattamento interdisciplinare, unico modo per trattare disturbi psichiatrici così complessi, guardando la persona ed il problema a 360 gradi: cioè pensando non solo all’individuo ma a individuo e famiglia, non solo all’alimentazione ma anche alla sfera psicologica, non solo alla sfera relazionale ma anche alla sfera motoria, eccetera. Per questo la continua collaborazione tra figure differenti è fondamentale, consente di ridare a persone che spesso la perdono una progettualità, di seguirle entro e fuori la struttura. Ciò che cerchiamo di fare è infatti garantire loro continuità assistenziale nel tempo e non solo nel periodo di residenza, fatti i primi passi è fondamentale, almeno per un periodo, supportare il processo di consolidamento in autonomia. Con al centro sempre la relazione – che cura».
E l’approccio di Sofia, entro e fuori struttura? «Faccio questa professione da pochi anni, ma sento profondamente il bisogno di un approccio diverso all’alimentazione e non soltanto nell’ambito dei cosiddetti DNA. Le persone oggi si ammalano sempre più frequentemente e non necessariamente solo i giovani o le donne come si pensa. Penso sia essenziale, urgente tornare ad un’idea di alimentazione che sia di reale supporto alle attività quotidiane e non ulteriore fonte di stress o diktat. Per questo credo in un approccio che alla prescrizione scelga la consapevolezza (quindi, di fondo, una certa serenità). Per il bene di tutti, è necessario separare l’aspetto della salute dall’aspetto dell’estetica. Ancora oggi non si parla di diete se non in relazione alla necessità di dimagrire, di migliorare la propria forma, quando in realtà una buona alimentazione è uno dei principali fattori per godere di buona salute. È il momento di interrompere questa confusione e mescolanza». Come dire, l’alimentazione dà e toglie. La chiave: comprenderla.
In ultimo, non ultimo, Sofia sottolinea un tema di cui ancora poco si parla. Attenta alla sostenibilità ambientale con il suo lavoro intende sensibilizzare le persone rispetto all’impatto dell’alimentazione sui cambiamenti climatici, sulla “salute del pianeta”: «È bene che le persone inizino anche in questo ad acquisire consapevolezza. Non si può più ignorare la crisi climatica. Ciò ci porterà a rivedere anche il concetto di dieta mediterranea o la frequenza con cui mettiamo certi alimenti in tavola – tra gli altri proteine animali tutte ed in particolare, come noto, la carne rossa». Il tempo ci chiede. Si ascolta?