domenica 8 Settembre 2024

La cooperative di comunità Valle di Ziri e il suo composto grido di dolore

Un reportage dell’ associazione “Siamo Lunigiana”

Riceviamo e pubblichiamo un articolo scritto per noi dall’associazione Siamo Lunigiana:

Cinzia Angiolini è la promotrice della Cooperativa di Comunità, “La Valle di Ziri” nata per sviluppare la filera corta della pecora zerasca e per reintrodurre semine antiche di grano. Siamo andati a trovarla perché la nostra associazione “Siamo Lunigiana” crede che salvaguardia di questo magnifico territorio non possa prescindere dall’attivismo e dalla mobilitazione consapevole e solidaristica dei suoi abitanti.

Cinzia è una donna fiera ed intelligente e dopo aver condiviso con noi un ricco ristoro a base di specialità locali si rende disponibile a tracciare un bilancio dell’esperienza cooperativa. I suoi occhi fiammeggianti e la sua voce dolce e determinata raccontano di un mezzo fallimento, inquietante ma istruttivo. Mai una parola di autocommiserazione, di biasimo o di critica gratuita ma una lucida e ponderata disamina di speranze andate deluse, di promesse e aspettative costruite su un finanziamento spot in cui le amministrazioni e i residenti non hanno voluto o saputo fare rete e attivare sinergie.

Cinzia indica come primo e insormontabile fattore disgregativo due elementi etnico-antropologici che si sono rivelati refrattari allo spirito mutualistico insito nella cooperativa: l’affievolirsi dei vincoli di comunanza e altruismo che rendeva coesa la popolazione montana delle scorse generazioni e la discendenza, fra l’altro fortemente rivendicata, degli zeraschi dall’entroterra ligure dove le tribù coraggiose, indomite e assai laboriose si muovevano in totale diffidenza e ostilità verso il modo esterno. Già gli storiografi romani Diodoro Siculo e Tito Livio lamentavano la mancata contaminazione di questa etnia con i più evolutivi influssi prima ellenistici e poi imperiali. “Qui ognuno pensa al suo, e, al massimo si rallegra dell’insuccesso altrui più che della fortuna propria”, chiosa la pastora con animato sconforto. La terza causa del fallimento è la totale solitudine operativa, la mancanza di supporto istituzionale, l’assenza delle amministrazioni.

“Avremmo avuto bisogno di un macello dedicato, di container, prima promessi e poi definanziati, per le carcasse dei capi uccisi dai lupi. Ci saremmo aspettati il supporto delle Centrali Cooperative e una regia dell’ente pubblico per il coordinamento degli interventi atti a realizzare gli obbiettivi dichiarati. Ora invece ci ritroviamo con le greggi dimezzate, le pastore demotivate e mai veramente integrate in un discorso di filiera e di integrazione produttiva fra le valli di Zeri e di Rossano; con il consorzio di tutela in chiusura per l’esorbitanza dei costi di gestione, e le future prospettive azzerate. L’unica cosa positiva che rimane è il circolo ricreativo del paese.”

Le chiediamo di citare almeno un altro aspetto positivo di questa esperienza e lei insieme umile e orgogliosa conclude: “Si ho imparato che per affrontare i problemi, soprattutto quelli più locali, occorre guardarli con gli occhi di un cittadino del mondo ed io, finchè potrò, porterò avanti il progetto fidando in un paio di donne di quassù dalla mente aperta e dal cuore grande, che credono totalmente in quello che fanno”.

Rilanciare il territorio: la cooperativa di comunità funziona solo se è partecipata dall’ ente locale

Può essere che Cinzia Angiolini abbia soggettivizzato troppo il suo punto di vista, fatto sta che il progetto “Valle di Ziri” nella sua stesura ufficiale riferiva fra altri i seguenti obbiettivi: lotta al dissesto, al recupero del patrimonio edilizio rurale, allo sviluppo di pratiche forestali di salvaguardia e valorizzazione dei boschi con la ripresa della coltivazione del castagneto alla reintroduzione delle semine antiche di grano e mais.

Obiettivo della costituenda cooperativa di comunità è quello di sviluppare una filiera corta locale legata alla pecora e alla valorizzazione delle le biodiversità locali, censimento dei bisogni sociali territoriali che consenta di definire standard minimi di servizi che permettano livelli di assistenza verso anziani e altre fasce bisognose della popolazione. Sette obbiettivi per altrettante azioni implementative sembrano davvero eccessivi per un finanziamento di 45.000 euro. Fra l’altro le Cooperative di Comunità pur non avendo un’identità giuridica legalmente precisata per l’agenzia delle entrate sono assimilabili alle cooperative di servizio e lavoro e costituiscono delle vere e proprie piccole imprese economiche che andrebbero accompagnate e assistite nella fase di startup.

Possono avere successo laddove il tessuto sociale sia sufficientemente esteso, fortemente motivato, organizzato e sostenuto dagli enti locali. Non è questo il caso del piccolo Borgo di Piagna. Ma l’erogazione di fondi “quasi a pioggia” – senza aver prima previsto uno staff (remunerato) responsabile della buona riuscita dei progetti finanziati, del coordinamento dei lavori del loro rendiconto – sembra essere l’unica soluzione prevista per le cosidette Aree Interne o zone svataggiate di cui, fra le altre, la Regione Toscana si è fatta promotrice convinta e di primo piano. Spiace allora riascoltare le entusiastiche affermazioni di un assessore regionale e dell’assessore alla Presidenza della regione Toscana e altri del circuito politico all’atto dell’inaugurazione circa “l’apertura di grandi opportunità per lo sviluppo economico della vallata e per la sua valorizzazione turistica”, gente che si è vista una volta per tagliare il nastro dell’opera ma mai per aiutare a dispiegarne i benefici.

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