Con la rielezione di Donald Trump abbiamo assistito a record storici per le Borse americane, rafforzamento del dollaro, ottima performance dei Treasury e poderoso balzo in alto dei bitcoin. La reazione euforica dei mercati made in Usa, definita Trump Trade, dipende certo dal risultato netto delle urne, ma soprattutto dal programma economico del tycoon, favorevole alle imprese e orientato al calo delle tasse per le aziende, con una campagna di reindustrializzazione del Paese. Trump dovrà però mettere in atto il programma entro due anni, prima che un’eventuale ripresa dei democratici alle prossime elezioni di mid term tolga ai repubblicani la maggioranza di almeno una Camera. Molto diverse, invece, le reazioni in Europa, dove i listini hanno accolto il trionfo del candidato repubblicano con un balzo all’indietro, scontando le paure per i dazi, ma anche i timori sorti in Messico e in Sudamerica, in cui sono molto presenti le banche spagnole, il cui deprezzamento si è esteso agli istituti di credito europei. Per l’Ue, le previsioni 2025 sono negative, e questo sicuramente non fa bene alle Borse. A peggiorare le cose, si sono aggiunte le dimissioni di Olaf Scholz e le elezioni anticipate che creano ancora più incertezza per il futuro. Tutto questo mentre la Commissione von der Leyen 2 non si è ancora insediata, ma ha intenzione di proseguire la linea dell’esecutivo uscente, fortemente orientato a ostacolare il rilancio e penalizzare industrie e produzione.
Se l’economia europea ancora resiste, occorre ringraziare il Pnrr e il calo dei tassi Bce, operazione che è ormai avviata e che presumibilmente proseguirà a pieno ritmo nei prossimi mesi.
Attualmente, le politiche monetarie delle tre grandi banche centrali sono allineate in un trend generale al ribasso. Ma Washington potrebbe fermarsi, per due ragioni, una positiva e una negativa: la campagna di incentivi alle aziende promessi da Trump, che potrebbero dare benefici al sistema economico, e la possibilità concreta che gli Stati Uniti tornino a parlare di dazi, con il rischio di un rincaro dei prezzi e di un colpo di coda dell’inflazione negli Usa.
Uno stop della Fed sui tassi, contemporanea a nuovi tagli a Francoforte e a Londra, potrebbe dare ancora più forza al dollaro, già sotto la fascia di sicurezza degli 1,06 per un euro.
Se il dollaro sale, a scendere è il petrolio: il Wti si è avvicinato sotto la soglia psicologica dei 68 dollari al barile, mentre il Brent è nella parte bassa della fascia 70-80. Una notizia buona per le tasche degli europei e degli italiani. Che invece guardano con una certa apprensione i rincari delle bollette della luce, aumentate del 12,5% da sei mesi a questa parte. Non tanto a causa delle quotazioni alla Borsa di Amsterdam, ma per gli effetti negativi del mercato libero, principale colpevole di questo fenomeno.