Chi lo avrebbe mai detto che le elezioni provinciali di Massa Carrara avrebbero assunto una portata così storica, localmente parlando?
Per qualche giorno, stando alla stampa, ai social, alle chiacchiere da bar, il tono del dibattito ha fatto pensare a un evento epocale. C’è chi ha parlato di svolta storica, chi di egemonie abbattute, chi di tradimenti, chi di rinascite morali e chi, al contrario, ha invocato espulsioni e purificazioni.
Sembrava quasi di essere alla Dieta di Worms, con Lutero davanti all’Impero e il destino dell’Europa appeso a una frase.
Poi però uno guarda meglio i fatti e la magia svanisce.
Non eravamo a Worms.
Eravamo a una normale elezione provinciale, di secondo livello – non essendo un capoluogo di regione -, con meno di 250 amministratori chiamati a votare secondo un meccanismo tecnico, iniquo per definizione, che pesa i territori in modo diseguale e che i protagonisti conoscevano benissimo prima di fare la X sulla scheda.
Non c’è stata nessuna rivoluzione, nessuna “provincia decomunistizzata”, nessun nuovo ordine mondiale.
Ha vinto chi aveva i voti che pesavano di più, anche grazie a scelte individuali di amministratori che hanno preferito mettere da parte la disciplina di partito che non ha pagato. Tutto qui. Il resto è raccontarsela con più aneddoti.
A rendere la scena quasi surreale è stata la reazione della politica locale: da un lato trionfalismi fuori scala, come se fosse caduto un regime o il muro di Berlino; dall’altro silenzi imbarazzati e riflessioni identitarie degne di un congresso del 1978. In mezzo, molta retorica e poca capacità di spiegare ai cittadini cosa sia davvero successo.
Forse sarebbe il caso di abbassare i toni e alzare il livello. La Provincia non è il luogo in cui si determina l’andamento politico nazionale: è un ente che si occupa di strade, scuole e personale, con risorse limitate e poteri ridotti. Chi la guida non è un riformatore della storia, ma un amministratore.
Meno Dieta di Worms, più senso della misura.
