A Pontremoli la scuola viaggia veloce verso il futuro, o meglio a quanto pare il futuro è già arrivato, e sembra un incrocio tra Minority Report, Don Matteo e una fiera di startup a Rimini, un po’ cosplay e un po’ Star Wars. Il Liceo Classico Vescovile diventa “BRIA”: bioinformatica, realtà immersiva e intelligenza artificiale. Ma tranquilli: non è fantascienza. È fede, scienza, e la promessa di un futuro in cui anche Platone può essere programmato — magari in Python, in Vala o in Rust (come il DE Cosmic di System76, velocissimo, ma con il greeter che su Arch non parte manco morto).
Nel nuovo liceo BRIA, a quanto pare, i giovani non si limitano più a tradurre Seneca. Ora possono viverlo direttamente con un visore Oculus sul naso e una voce sintetica che recita il De Brevitate Vitae mentre scorrono dati biometrici. Il tutto benedetto da sindaco, vescovo e, ovviamente, Massimiliano Nicolini, esperto di qualsiasi cosa™ – e candidato al Nobel-. Tra l’altro se gli alunni del vescovile volessero vestirsi come lui potrebbero fare un salto qui e copiare l’abbigliamento, qualche patch su Amazon, tute da aviatore e divise militari pare vadano benissimo e danno quel tocco di autorevolezza che non guasta.

Già noto per aver fondato la Fraternità Digitale, depositato innumeravoli brevetti, ricevuto riconoscimenti da enti molto “conosciuti” dagli addetti ai lavori, Nicolini ha tenuto a Pontremoli una lectio magistralis davanti al vescovo Mario Vaccari e al sindaco Jacopo Ferri. Tema della lezione: come insegnare l’etica dell’intelligenza artificiale partendo dalle elementari, dove i bambini potranno imparare storia “così com’è stata raccontata dal professore e non da altri”.
Ma qualcuno ha controllato il curriculum vitae del professor… pardon, del signor Nicolini? O basta dichiararsi “esperti in sistemi complessi di intelligenza artificiale” per meritare una lectio magistralis e due strette di mano in prima fila da vescovo e sindaco?
C’è da chiedersi se i cronisti abbiano dato un’occhiata a qualche banale registro universitario, o se si siano fidati della biografia autocertificata diffusa nei “pieghevoli” della Fondazione Olitec – la stessa che lo indica come autore del Teorema di Assisi e redentore digitale di Marco Pantani grazie alla bioinformatica.
Siamo sicuri che basti un badge con una patch ESA (tipo quelli su AliExpress) per passare da visionario a luminare? Non bastano più trasparenza e tracciabilità, nomine ufficiali? Nessuno ha chiesto al relatore quale titolo accademico lo autorizzi a salire in cattedra. O forse, come per la verità rivelata, anche ai titoli basta solo crederci?
Alla fine di questa lunga immersione tra titoli anagrammabili, comitati bio etico informatici e patch spaziali, una domanda sorge spontanea: a che serve studiare? Davvero, intendo… perdere anni in università, pubblicare ricerche, prendere dottorati, farsi il sangue marcio su esami sbagliati, tanto oggi basta un profilo su academia.edu per autoproclamarsi bioinformatico quantico, architetto del metaverso, e persino “filosofo delle emoji”? Pillola blu o pillola rossa?
Perché accontentarsi di un banale PhD quando puoi ricevere un brevetto in antropofagia sperimentale rilasciato da GreenInferno.com, con validità nel Metaverso e una patch ESA cucita male su un gilet da paintball?
La verità è che viviamo in un’epoca dove l’autoreferenzialità batte la verifica, e dove chi grida più forte “sono esperto” vince — anche senza prove. Anzi, soprattutto senza, dato che nessuno sembra voler aver voglia di verificare.
Ma tranquilli, ragazzi. Studiare serve ancora. Serve a riconoscere le supercazzole. Serve a evitare che un giorno ci ritroviamo governati da uno che si firma “Teorema di Cimitero di Rocca Pontina” e ha costruito la scuola di Annibale nel metaverso con una stampante 3D rubata a Chernobyl, comune di Prypiat, nel 1986.
E serve a ridere. Perché davanti a tutto questo, o ridi o ti viene voglia di brevettare il primo visore per la realtà deprimente aumentata.
