Quando Eugenio Giani ha nominato Mia Bintou Diop vicepresidente della Toscana, molti hanno applaudito. Altri hanno aperto Facebook iniziando a vomitare pensieri triti. In un paese in cui ancora si indaga su connazionali che durante la guerra in Jugoslavia andavano a Sarajevo a sparare per gioco a donne e bambini oggi il divertimento più semplice e meno costoso è imbracciare uno smartphone e odiare.
Da ieri pomeriggio, tra un “troppo giovane” e un “piano Kalergi in via di attuazione”, la Toscana si è vista allo specchio. E non le è piaciuto quello che ha visto.
Mia ha ventitré anni, un cognome che suona lontano e un accento livornese che più toscano non si può. È nata qui, ha studiato qui, fa politica da quando i coetanei si registravano su TikTok. Ma bastano tre righe di curriculum per scatenare la muta: “bella presenza”, “figlia di”, “senza esperienza”, “con quella faccia lì”.
Niente di nuovo. È solo la vecchia Italia che la spara grossa sui social come parlava al bar, convinta che la gioventù sia una colpa e la diversità un esperimento sociale.
Questa non è rabbia politica, è razzismo travestito da buonsenso.
È la paura del futuro che bussa con pelle, voce e storie nuove. In queste ultime ore ho letto e salvato (non si sa mai) centinaia, migliaia di commenti, e sapete cosa ho pensato? Ho pensato che in ogni commento si sente la fatica di un Paese che non sa più cosa difendere, e allora difende sé stesso dall’evoluzione.
“Troppo giovane”, dicono. Ma anche Renzi, Meloni, Kurz, Sanna Marin erano troppo giovani — finché non sono diventati quello che sono diventati. E nessuno si scandalizzava se avevano la pelle giusta, l’accento giusto, il nome facile da pronunciare. Invece oggi sembra che qualunque cosa cambi, il Paese si debba in qualche modo lamentare, per qualsiasi cosa. Se nomini un giovane, è troppo giovane. Se scegli un veterano, è troppo vecchio. Se arriva una donna, “sarà raccomandata”. o è “una pu**ana”. Se ha la pelle più scura, “non è dei nostri”, “aveva ragione Oriana”.
Poco tempo fa ho letto un libro molto bello “Selvaggio Ovest”, di Daniele Pasquini, guarda caso uno scrittore fiorentino, guarda caso ambientato in Maremma. In quella storia, dove la frontiera è un passaggio, i butteri padroni di un mondo ormai scomparso, un ragazzo diventa protagonista e a suo modo aggiusta una storia violenta e mitica, tra storia, leggenda e vita quotidiana. Quella stessa violenza, dei banditi, che dissezionano a parole chiunque, non è mai cambiata. In più di un secolo e un quarto non ha subito alcuna evoluzione. Internet doveva renderci migliori. Invece ha dato il microfono a chi confonde la libertà di parola con il diritto di sputare.
Mia Diop, volente o nolente, da ieri è diventata un simbolo. Non per la carica che ricopre, ma per ciò che ha smosso, per la Toscana che applaude e per quella che vomita.
Per tutti quelli che si sono scoperti ancora incapaci di accettare che l’Italia del 2025 possa essere anche così: giovane, meticcia (per coloro ai quali importano ancora i colori), e con le idee più chiare dei suoi critici.
Il futuro non chiede il permesso. E se assomiglia a lei, allora sì: farà arrabbiare parecchia gente.
