Ha inaugurato giovedì alla Galleria Maurizio Nobile di Milano la prima personale dell’artista Greta Affanni – Organic Flows.
Cosa significa per te e com’è nata la collaborazione con la galleria? «La collaborazione è nata tramite un mio ex docente dell’Accademia di Belle Arti, è stato lui a farci conoscere: la Maurizio Nobile si occupa perlopiù di antiquariato, ma senza escludere l’apertura agli artisti contemporanei. Il mio lavoro gli è piaciuto, l’hanno inserito in una collettiva poi hanno deciso di propormi una personale». Eccola. Per Greta «è una grandissima responsabilità». «È una cosa molto importante per un’artista. Ti permette di confrontarti con uno spazio e con il tuo lavoro, di dire Ok questo è stato fatto, e ora? In questo senso credo, sento, sia anche una cesura».
Greta ci racconta che la ricerca sul segno è iniziata ai tempi dell’accademia per poi consolidarsi durante il lockdown. Il segno, il rapporto tra segno e natura, il rapporto tra noi stessi e natura sono trattate proprio dalle opere in mostra. «Il segno è un elemento molto presente in natura, lo si ritrova in ripetizioni d’antenne d’insetti, manto animale, fili d’erba. Io non escudo una dimensione per l’altra, animale e vegetale coesistono come soggetto unico, ritraducendosi in qualcosa che non esiste in realtà». Nella soglia tra astratto e figurativo, sta la sua traccia. Perché la natura – oltre alla ripetitività di segno eccetera? È una questione universale e poi di vita, esperienza. «Quando torno nel mio paese (Soliera) sento profondamente il desiderio di natura, ma è attrazione e paura. Sta qui la conflittualità. Io desidero che la natura entri nella mia esperienza, ma allo stesso tempo la natura mi spaventa. Tento allora di superare questa cosa con altri mezzi – in opera».
Nella presentazione si parla anche di gioco tra segni e superfici, caratteristica della tua produzione tutta: cosa ricerchi, anche matericamente? Ci spieghi meglio? «Tutto viene dagli anni in Accademia, quando ho ricevuto un’influenza importante dalla mia relatrice, Giovanna Caimmi, grande disegnatrice: lei lavora con queste stratificazioni su carta. All’inizio, non lo nascondo, come spesso accade, un po’ l’ho “copiata”, poi ho cominciato a lavorare sulla carta e sul retro, a cercare la mia ‘storia’. A influenzarmi anche Luca Caccioni con i suoi lavori su superfici lisce e acetati, poi Piero Manai a cui ho dedicato anche la mia tesi di laurea. Lavorare sulle superfici ha fatto sì che andassi naturalmente a girare l’opera rendendomi conto che spesso il lato b è molto più interessante del lato a: per la resa di colore più profonda, per la sensazione d’abisso che sul lato a non si ritrova… Questo si vede meglio, ancora meglio, con il plexiglass. Io lavoro con inchiostri per aerografo, base acrilica e acqua, e punte a incisione – punta secca. Se vedi anche in questo fare, modo d’intervenire c’è il contatto tra segni e lati, ancora conflittualità».
La stessa che troviamo in mostra? «Sì, in mostra abbiamo portato venti opere, tutte fondamentalmente su pvc e plexiglass (oltre carta). Nella produzione ed esposizione ho giocato con i livelli e con la profondità, pittorica e grafica. Sono opere incorniciate, confezionate così per scelta: voglio che ci sia il focus, che il soggetto sia molto presente variando poi nello spazio – in mostra».
Vedere, ricerca.
Cesura in corso. Che pensi, fai, ora? «Attualmente sono in fase di ‘pulizia’: sono tornata a penna e carta (le bic sono comunque parte della mia ricerca). Si riparte dal semplice, faccio tabula rasa. Sperimento, capita. È successo per esempio quest’estate con la collettiva “Prima del corteo”, a Bologna. Non so ancora dove questo momento mi porterà».
Nella presentazione del tuo lavoro si parla anche di Lunigiana. Quanto è presente nelle tue opere e che rapporto hai con il nostro territorio, ora? «Beh, sono legatissima. Non riesco a tornare spesso perché abito a Bologna dal 2013 ed insegno, ma quando posso torno: il radicamento è quello. Non si scappa. In questi anni di assenza l’ho vista un po’ cambiata, e anch’io sono cambiata, capita. Ma ho sempre negli occhi questi boschi fitti fitti fitti, le Apuane, la valle intorno a Soliera, i crinali intorno a casa».
È un altro flow, di Lunigiana.