Nella chiesa di San Giorgio a Filattiera, si conserva un documento epigrafico di eccezionale importanza, la cosiddetta Lapide di Leodegar, che nel commemorare la morte dell’alto personaggio (molto probabilmente un vescovo) avvenuta nel 752, ricorda il compito affidatogli: quello di estirpare dalla regione le pratiche pagane ancora in uso. Nella lapide, purtroppo parzialmente rovinata dal tempo, si legge: “idola fregit”, cioè “ruppe gli idoli” che in molti hanno identificato con le statue stele lunigianesi, datate età del bronzo e del ferro.
“Non curandosi delle sicurezze della vita,
Epigrafe di Filattiera
qui spezzò i vari idoli dei pagani
Mutò con la fede i riti di chi era in errore
donando ai pellegrini bisognosi il suo cibo
Ogni anno tirando a sorte distribuì le decime
Fondò l’ospizio di San Benedetto
Protettore Cristo, costruì la chiesa di S.Martino
Con animo pio volle esser qui sepolto
Offrì le risorse di tutte le sue mense
Il suo corpo è dato alla terra e l’anima penetra nei cieli
Dodici olimpiadi e un primo e un secondo lustro
aggiunse ai due che visse qui
Morì nel quarto anno del re Astolfo”.
Uno studio di Ubaldo Mazzini, disponibile in Rete, racconta qualcosa in più sul reperto storico di Filattiera: “Molte cose c’insegna, il frammento superstite dell’epitaffio: che quell’ignoto, non curando il pericolo di morte cui si esponeva, nel luogo stesso (hic) dove fu poi sopolto, aveva spezzato, degli idoli pagani, convertendo a Cristo i peccatori; che aveva largamente soccorso i bisognosi, e sfamato del suo pane i pellegrini poveri:; che ogni anno aveva restituito le decime riscosse, distribuendole a sorte tra i poveri; che aveva fondato l’ospedale di San Benedetto con la sua cappella; che un’altra chiesa aveva costrutto, dedicandola a Dio e a San Martino e che, morendo di ottantaquattro anni, nel quarto anno del regno ai Astolfo, preferì essere sepolto nel luogo stesso dove aveva spezzato gli idoli e dove per dieci anni aveva vissuto.
Secondo Enrico Cipollina dell’Università di Genova l’epigrafe di Filattiera, parlando esplicitamente di idoli, fornisce ulteriore conferma riguardo alla permanenza di credenze pagane nelle popolazioni rurali in pieno VIII secolo, quando il territorio ligure era già in gran parte evangelizzato.
Ma chi erano, dunque questi idoli combattuti da Leodegar?
Lo studioso fa ulteriori considerazioni: “La Lunigiana storica conserva uno dei fenomeni più importanti della megalitica europea: le statue stele. Si tratta di figure umane maschili e femminili rappresentate in forme astratte, scolpite nell’arenaria dalle popolazioni locali, tra il IV e il I millennio a.C. Nel corso degli scavi della pieve di Santo Stefano sono emersi vari frammenti attribuibili a statuestele e riutilizzati nella costruzione della chiesa”.
“Sulla base del testo dell’iscrizione, Leodegar ha indubbiamente combattuto una battaglia contro l’idolatria e il paganesimo. La distruzione può essere stata materiale e non solo morale, e gli idoli “spezzati” potrebbero proprio essere alcune delle statue stele che ancora in epoca altomedievale si ergevano in qualche luogo, conservando memoria di antiche credenze autoctone”.
U. Mazzini, L’epitaffio di Leodegar, vescovo di Luni, in «Giornale storico della Lunigiana», vol. 11, La Spezia 1919.
G. Binazzi, La sopravvivenza dei culti tradizionali nell’Italia tardoantica e altomedievale, Perugia 2008.
G. Binazzi, Gentilium varia hic idola fregit. Sopravvivenze di paganesimo agreste fra V e VIII secolo, in Istituzioni, carismi ed esercizio del potere (IV – VI secolo d.C.), a cura di G. Bonamente, R. Lizzi Testa, Bari 2010.