“Quando sei un ragazzino e usi la tua immaginazione, ti vedi fare goal a Wembley con 100.000 tifosi che urlano il tuo nome. Non pensi a tutto ciò che ti toccherà prima di quel momento, tipo startene in un campo d’allenamento gelato con le ginocchia che tremano con davanti questi giganti che fino a poco prima conoscevi solo per nome“. Lo diceva George Best, uno dei più grandi eroi del calcio mondiale (in questo caso inglese, ma cerchiamo di non infierire troppo, almeno oggi).
Ci voleva proprio un’estate italiana, ci volevano le lacrime – questa volta di gioia – e i sorrisi dei nostri giovani con la coppa alzata verso il cielo. Eravamo assieme, tutti noi, sui balconi a cercare di sostenerci all’arrivo della pandemia. E abbiamo visto quelle bare portate via sui camion dell’esercito, i nostri amici, i nostri cari, la nostra gente neutralizzata da un virus invisibile. Siamo rimasti chiusi in casa per mesi interi, lontani gli uni dagli altri, dal cliché del Bel Paese, fatto di cordialità, profumi di ristoranti all’ora di cena, giovani che si ritrovano nelle piazze e tirano a notte fonda nei locali.
Questa nazionale, senza troppe pretese, è andata avanti partita dopo partita, suscitando una crescente consapevolezza di potercela fare, almeno di avere il coraggio di lottare, comportandosi esattamente come ha fatto un intero Paese, tra critiche e incoraggiamenti, volti sorridenti e grida di dolore. E le gambe dei calciatori che hanno corso per chilometri e chilometri, e l’arrivo di Sergio Mattarella per assistere alla finale e Berrettini che ha aperto la domenica con una sconfitta che è solo un punto di partenza.
Abbiamo stretto i denti per oltre due ore, nelle nostre case, nelle piazze, ritrovando la voglia di combattere assieme, questa volta mano nella mano, abbracciandoci forte (alla faccia del Covid, poi si vedrà). E persino una Lunigiana silenziosa, quella dei rumori degli animali notturni, una domenica di luglio ha alzato gli occhi al cielo ed ha ringraziato i ragazzi che a Wembley hanno realizzato un sogno. Suoni, colori, lampi nella notte mediterranea, nei declivi, nei valichi, nella stramaledetta Cisa, che ci separano e ci uniscono al resto del Paese. Oscurità nei cuori di chi non riesce a pensare ad altro che alla politica, al divisionismo, al rancore verso immaginari ordini mondiali, a scie chimiche che ci cospargono le teste di patologie sconosciute.
Oggi è il momento di festeggiare, non ce ne voglia Umberto Saba, ma parafrasandolo, cantiamo così:
Festa è nell’aria, festa in ogni via.
Se per poco, che importa?
Nessuna offesa varcava la porta,
s’incrociavano grida ch’eran razzi.
La vostra gloria, undici ragazzi,
come un fiume d’amore orna l’ITALIA.