mercoledì 16 Ottobre 2024

Per il nuovo CAMeC, Gerhard Wolf e la sua idea di arte aperta. Intervista

A poche ore dalla riapertura del CAMeC abbiamo intervistato Gerhard Wolf, direttore del Kunsthistorisches Institut in Florenz e membro dell’Accademia delle Scienze e delle Lettere di Berlin-Brandeburg, curatore del nuovo allestimento della collezione permanente.

Possiamo chiederle di presentarsi brevemente?

«Certo, sono uno storico dell’arte: medievalista di formazione, ora universalista, così mi sento oggi e così mi piace dire. Faccio mille cose e credo nello spirito di una storia dell’arte globale. Questo probabilmente anche per le mie esperienze, per le mostre e per lo studio dei grandi scambi culturali avvenuti tra le epoche. Io ho lavorato molto all’estero, come curatore, studioso, docente. Sono direttore del Kunsthistorisches Institut in Florenz, un istituto Max-Planck, dal 2003».

Di cosa vi occupate?

«L’Istituto, Max-Planck, con tanti progetti di rilievo internazionale, ha una storia molto lunga essendo stato fondato nel 1897. Tuttavia, negli studi e nelle pratiche, è assai giovane. Abbiamo 30, 40 borsiste e borsiste da diversi paesi, ci occupiamo di cose diverse. Di base, con una biblioteca ed una fototeca per oltre 400mila opere e 700mila fotografie, siamo un’istituto di ricerca di altissimo livello in storia dell’arte. La nostra filosofia è quella di una ricerca che pensa al futuro, al presente. Da storici crediamo sia necessario confrontarsi con i problemi di oggi, rimanere inseriti nel contesto dei grandi problemi del presente». Collegare, trovare nessi, si direbbe. «Il sedicesimo secolo, ad esempio, può dirci molto considerando di dinamiche attuali come quelle ecologiche. Si deve guardare indietro e avanti parallelamente. Essere contemporaneisti implica questo tipo di approccio, per me».

Com’è avvenuto l’incontro con il CAMeC e come si struttura la vostra collaborazione?

«La collaborazione, in questo caso, è personale. Nel 2023 ho incontrato l’avvocato Giacomo Bei, presidente del comitato istituito dal Comune della Spezia e dalla Fondazione (Carispezia) per il rilancio del CAMeC, aveva visto la mostra su Aby Warburg agli Uffizi e mi ha proposto di fare questo lavoro. Ammetto che l’idea mi sembrava un po’ “spinta” inizialmente. Ero titubante. Poi sono venuto alla Spezia, ho visto le tante opere importanti nei depositi, le pubblicazioni fatte. Ho detto sì, con crescente entusiasmo: era ed è un bel lavoro, anche se non facile. Mi ci sono dedicato insieme ad un team di persone molto disponibili».

Conosceva già le Collezioni del CAMeC? Come ha voluto procedere?

«Avevo un’idea vaga, ma conoscerle è un’altra cosa. Da subito ho capito che le direzioni dovevano essere due: da una parte, valorizzare questo patrimonio, fatto di oltre 2000 opere, dall’altra cercare un modo nuovo per presentarle. Volevo fuggire la logica dei musei tradizionali, l’idea di un’esposizione fiscale, canonica, della storia dell’arte. Non volevo procedere, come spesso si fa, per cronologie, movimenti, scuole. Preferivo, ho preferito realizzare delle aperture. Le opere devono, hanno bisogno di dialogare. Ho, abbiamo aperto l’orizzonte. Partendo  dagli spazi, ovviamente. Negli allestimenti lo spazio è fondamentale. In questo caso, abbiamo voluto e dovuto intervenire: il nuovo CAMeC avrà finestre aperte sulla città, per avere maggiore luce e, ancora, dialogare con lo spazio urbano. Un’altra cosa che ho voluto fare era presentare separatamente le collezioni principali del museo. Le opere del Premio del Golfo della Spezia, per esempio, hanno una sala dedicata con evocazione concreta del paesaggio regionale, con richiamo alla palazzata di Porto Venere. Anche questo fa parte degli obiettivi: da una parte valorizzare il ruolo della città della Spezia per l’arte, dall’altra dare agli spazi respiro, anche internazionale».

Quali sono i punti forte della Collezione?

«La Collezione del CAMeC è importante. Un grande nucleo è costituito dalle opere donate da Giorgio Cozzani e Ilda Goretti; Cozzani fu dermatologo e primario dell’ospedale, collezionista curioso, intelligente. Tra le sue scelte non troviamo Picasso costosissimi e grandi formati, ma opere di ‘egual’ valore e interesse. Cozzani amava viaggiare, vedere, frequentare gallerie, ha comprato molto bene. Era aperto e sceglieva ciò che per il periodo riteneva interessante. In collezione ci sono molti artisti italiani ma non solo. In questo senso è impressionante la sua apertura verso pittori e scultori americani, tedeschi… E il fatto che non si poneva alcun limite, tematico, artistico. Abbiamo fotografia, pittura, disegno, bronzi e sculture. Per un curatore ciò permette di giocare, creare sezioni e costellazioni, cambiare di volta in volta, cercare ‘la luce’… È stimolante».

Nel comunicato scrivete che l’allestimento vuole “sovvertire le tradizionali categorizzazioni storico-artistiche”. Qualcosa ci ha già detto, cosa vuole aggiungere?

«Non volevo fare una mostra da manuale. I giovani si approcciano – e si approcceranno-  all’arte che noi conosciamo diversamente. L’arte degli anni Sessanta ha già sessantacinque anni. Ha già un che di storico. Può dirci qualcosa, ma dobbiamo chiederci cosa ci dice. Vedere un’opera di Lucio Fontana, ad esempio, nel suo tempo aveva un significato, mentre oggi ne ha un altro, per forza di cose. Perché il mondo in cui viviamo è differente. La dimensione della temporalità per me è importante, doveva emergere: è la contemporaneità in cui tutti abitiamo. Le opere sono vive se presentate come ‘nuove’, se a loro riconosciamo la possibilità di dire ancora, di dialogare sia con altre opere che con il presente: dobbiamo chiederci cosa ci dicono ma anche cosa chiediamo loro. Questo significa storicizzare una collezione senza mortificarla, scegliere di lasciar respirare piuttosto che optare per categorie chiuse».

Dopo l’opening ci sarà un programma di eventi, attività, visite?

«Sicuramente. Io ho un lavoro molto impegnativo a Firenze, quindi non potrò fare molte altre cose. Le mostre contemporanee saranno curate, credo, da eccellenti professionisti esterni; attività e visite dallo staff del Museo, dalla Fondazione – e bene. Mi piacerebbe rimanere in contatto, tornare, magari per un dialogo con qualche artista, per qualche prosecuzione. Non ne abbiamo ancora parlato sinceramente, ma ecco, una cosa che tengo molto a dire: sabato non presentiamo la Collezione permanente, ma una selezione della Collezione (oltre 260 opere, ndr). È importante. Questa è la prima, ne seguiranno altre: un Museo non può rimanere tale e quale. Deve variare, almeno in parte. In questo processo mi piacerebbe essere coinvolto ancora. Mi piacerebbe anche invitare artiste e artisti contemporanei perché possano interagire con la collezione. Staremo a vedere»,.

Il CAMeC riprenderà probabilmente anche il Premio, si dice.

«Sì, se ne sta discutendo, anch’io ho condivido proposte in merito, mi sembra una buona idea: un Museo attivo non può rimanere ‘fermo’, deve acquistare. Io personalmente sono stato felice di aver lavorato con l’esistente, ma penso possa essere importante riprendere l’idea di un Premio che tra l’altro ben si presterebbe alla natura del CAMeC. Così si chiama, no? Non Museo ma Centro di Arte Moderna e Contemporanea. Così dev’essere».

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Abbiamo parlato con / Gerhard Wolf, direttore del Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max Planck Institut e membro dell’Accademia delle Scienze e delle Lettere di Berlin-Brandenburg.

Gerhard Wolf è membro scientifico della Max-Planck-Gesellschaft e Direttore del Kunsthistorischen Institut in Florenz (dal 2003). Ha studiato storia dell’arte, archeologia cristiana e filosofia all’Università di Heidelberg (Dottorato nel 1989). Dopo l’abilitazione alla Freie Universität di Berlino (1995) ha ricevuto una cattedra di storia dell’arte all’Università di Trier (fino al 2003). Numerose cattedre onorarie lo hanno portato a Parigi (EHESS), Roma (Bibliotheca Hertziana), Vienna, Basilea, Buenos Aires, Città del Messico, Gerusalemme, Mendrisio (Accademia di Architettura), Harvard, Lugano, Chicago, Istanbul (Boğaziçi University), Delhi (Jawaharlal Nehru University), Zurigo (Heinrich Wölfflin Lectures) e New York (Columbia University). Dal 2009 Gerhard Wolf è membro della Brandenburgische Akademie der Wissenschaften (Accademia delle Scienze di Berlino-Brandeburgo). È stato professore onorario alla Humboldt-Universität di Berlino dal 2008 al 2020 e membro della Commissione scientifica del Wissenschaftsrat (Consiglio tedesco delle scienze e delle discipline umanistiche) dal 2013 al 2019.