Settimana tranquilla in Borsa: i listini avevano bisogno di rifiatare e la festa del Ringraziamento americano ha “spezzato” il periodo di contrattazione negli Stati Uniti, con ricadute anche negli altri mercati. In dicembre le Borse dovrebbero marciare sui ritmi lenti e probabilmente i mercati chiuderanno l’anno sui livelli attuali. Non dovrebbero esserci rischi dovuti alla situazione internazionale perché le Borse si sono dimostrate forti, nonostante le difficoltà. Inoltre la crisi mediorientale è rimasta un conflitto locale, mentre il gelo polare ha rallentato le operazioni degli eserciti russo e ucraino, proprio quando si comincia ad accarezzare l’idea di uno stop a un conflitto divenuto dispendioso, lungo e difficilmente risolvibile dal punto di vista militare.
Occorre aggiungere che l’inflazione tendenziale a fine anno chiuderà sotto il 4%, mentre quella reale è vicina all’obiettivo del 2% e in Italia è ancora più bassa. C’è tranquillità sul fronte del petrolio e del gas, mentre c’è allerta per il picco di polmoniti in Cina. Con l’attuale situazione (favorita anche dall’alt di Bundesbank, preoccupata per la recessione in Germania) è praticamente impossibile che i tassi tornino a salire: a metà 2024, probabilmente, inizierà la lunga e lenta discesa
che favorirà il rimbalzo azionario e il ritorno di fiamma delle obbligazioni. C’è chi però va contro corrente: uno studio di Ubs vede l’economia europea in recessione, con Borse in perdita fra il 5% e il 10%. Le previsioni borsistiche per il 2024 sono difficili perché, a breve distanza, si svolgeranno le elezioni europee, britanniche e le presidenziali americane. Meno dubbi sul settore obbligazionario. La situazione è calma, gli spread si sono ridotti e sembra aver senso investire sui bond a cinque-sei anni. Il rendimento atteso in Europa è tra il 5% e il 6%, quello in Italia ancora maggiore (6%-7%).
Ma l’orizzonte temporale si sta restringendo, perché il conto della rovescia che ci separa dall’abbassamento dei tassi è già partito.
Ha destato interesse uno studio di Deloitte e Assifact secondo cui le aziende con alto rischio di credito o vulnerabilità finanziaria sarebbero aumentate dal 42% del periodo precedente al Covid al 49% del 2022, con tendenza al peggioramento.
La percentuale sembra enorme, ma quando l’economia si contrae e i tassi salgono, le banche sono ancora più restie a prestare soldi perché il rischio di insolvenza aumenta.
Dall’inizio della stretta monetaria non sono state pagate rate di mutui per circa 690 milioni di euro, ma l’aumento degli utili bancari rende comunque i bilanci degli istituti di credito molto più sostenibili. Se le agenzie di rating rimuovessero la regola assurda che impedisce a una qualsiasi azienda di ricevere una valutazione più alta rispetto a quella del Paese in cui ha sede, varie banche e assicurazioni italiane sarebbero sicuramente da tripla A.