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La storia di Malika ci insegna che il ddl Zan deve essere approvato

Anno 2021, metà gennaio. Malika ha 22 anni e abita a Castelfiorentino. Malika, secondo la sua famiglia, ha un grandissimo difetto: quello di amare una ragazza e non, come si conviene secondo ataviche credenze, un giovanotto aitante della sua età, o persino più grande. Un affronto enorme in una società in declino tanto da spingere gli stessi genitori a minacciarla di volerla uccidere.
Il suo cuore, palpitante di affetto è diventato nei mesi afflitto dalla paura di non battere più, letteralmente. Quella mattina di inizio anno Malika viene cacciata da casa, senza nemmeno avere la possibilità di prendere i vestiti. Abbandonata, rifiutata, accusata e odiata perché lesbica.

Sul caso della giovane è stato aperto un fascicolo dalla procura di Firenze. I carabinieri stanno acquisendo le prove di come la madre di Malika abbia più volte minacciato la figlia, in modi che nessuno si aspetterebbe, no, non dai propri genitori, non dalla propria madre.

Ad oggi, purtroppo, non ci sono ancora leggi che tutelano le vittime di odio omotransfobico. Il ddl Zan, che propone modifiche ad alcuni articoli del codice penale, è stato rinviato in Parlamento e quindi “misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” non sono ancora condannabili.

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“È una vicenda dolorosissima, che ci impone di riflettere molto su quanto ci sia ancora da lottare per costruire una cultura diffusa di rispetto e di uguaglianza verso le persone LGBTQIA+”, ha detto, commentando la vicenda, l’assessora regionale alle pari opportunità Alessandra Nardini. “Malika è una ragazza che a soli 22 anni viene giudicata, offesa e cacciata di casa semplicemente per ciò che è. Come possiamo accettare che ancora accadano queste cose? Storie come questa ci dicono anche quanto sia ormai irrimandabile, a livello nazionale, l’approvazione del disegno di legge Zan, per sancire il diritto di ogni cittadina e di ogni cittadino a non subire discriminazioni e violenze per chi si è o per chi si ama”.

“Per questo – prosegue l’assessora – ho promosso un appello a sostegno del disegno di legge: perché dalla Toscana, terra da sempre all’avanguardia nei diritti, arrivi forte e chiaro il messaggio che nessuna forma di insulto, discriminazione, violenza, esclusione contro le nostre concittadine e i nostri concittadini LGBTQIA+ deve essere più tollerata o minimizzata. A Malika il mio abbraccio più grande”.

Nel frattempo, la Rete ha iniziato a muoversi, cercando di sostenere fattivamente Malika nella sua nuova vita e purtroppo anche nelle spese legali che dovrà affrontare.

La sua non è una storia isolata, è quella di migliaia di persone che in Italia vengono perseguitate – non solo dalle proprie famiglie – in nome di un “concetto di normalità” che esiste solo nella mente chi riesce a crearlo. Con quale etica, mi chiedo, è possibile definirsi ancora “madre” o “padre”, minacciando di uccidere una figlia? Con quale criterio uno Stato può ancora permettere che queste persone abbiano la facoltà di esercitare il loro ruolo “sociale”? Lo ripeto, lo ripeto perché voglio che ci riflettiate anche voi: “Cos’è un genitore se non ha la capacità di amare i propri figli?”.

Diego Remaggi
Diego Remaggihttp://diegoremaggi.me
Direttore e fondatore de l'Eco della Lunigiana. Scrivo di Geopolitica su Medium, Stati Generali e Substack.
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