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Gioco e studio: la roulette

In relazione al casinò, un termine in particolare si associa da sempre ai suoi giochi: la casualità. In realtà in molti dei giochi da casinò più amati è possibile adottare un minimo di strategia: è il caso del poker, con il suo approccio psicologico, o del blackjack, che premia una mentalità attenta ai calcoli probabilistici come illustrato in molti film. Ma si tratta, nel comune sentire, delle eccezioni che confermano la regola: in ultima analisi, nei giochi da casinò, a dominare è la casualità. Questo non ha comunque mai scoraggiato persone particolarmente originali a mettersi alla prova nella ricerca di un metodo scientifico per piegare a proprio vantaggio le regole del caso, e se ci sono giochi che per loro natura presentano un lato “affrontabile” da un punto di vista scientifico come gli esempi precedenti, gli aneddoti più interessanti vengono da quei giochi che sembrano impossibili da prevedere: uno di questi è la roulette.

Secondo una diffusa credenza, che è però ormai da considerare destituita di fondamento, uno dei primi tentativi di predire il comportamento della roulette è da ascriversi a Blaise Pascal, a opera del quale venne pubblicato uno studio sulla roulette. L’equivoco nasce dal fatto che il matematico e fisico francese era sì impegnato a studiare una roulette, ma con quel termine indicava una particolare curva, da lui esaminata nel quadro delle sue teorizzazioni sul moto perpetuo. Ad ogni modo, la circostanza ha consegnato a Pascal l’aura di padre nobile di questo particolare approccio, che sarebbe stato in seguito numerose volte emulato.

Uno dei primi tentativi coronati dal successo avvenne negli anni ’40 ad opera di due studenti universitari: Al Hibbs e Roy Walford. All’epoca le roulette erano interamente meccaniche, perciò essi teorizzarono che le minime differenze in ogni macchina, frutto della loro produzione, potessero portare a una previsione del comportamento della singola macchina: osservando quindi un campione rilevante di giocate, furono in grado di provare la validità del loro assunto. Naturalmente al giorno d’oggi le imperfezioni che rendevano una macchina diversa dall’altra, e quindi prevedibile, sono ormai irrilevanti, se non del tutto inesistenti come nel caso delle roulette digitali.

Risale agli anni ’50 invece il primo tentativo di studio basato sulla tecnologia. Il problema venne affrontato da un punto di vista fisico, con lo studio del moto della pallina: un’altra coppia di studenti, Edward Thorp e Claude Shannon, mise a punto uno dei primissimi computer indossabili, che misurando alcune variabili era in grado di determinare con buona approssimazione il settore della ruota nel quale si sarebbe fermata la pallina. Tuttavia, la tecnologia all’epoca non era ancora sufficientemente evoluta da permettere al computer di terminare i suoi calcoli in tempo utile.

Quest’ultimo problema, unico vero ostacolo all’altrimenti valida ricerca, era destinato a essere superato dal semplice progresso tecnologico: passati vent’anni, infatti, i computer erano ormai comunemente in possesso di velocità di calcolo sufficienti. Negli anni ’70 fu un gruppo appositamente fondato, Eudaemons, a mettere insieme gli studi di vent’anni prima con la tecnologia aggiornata: il risultato fu un nuovo minicomputer da alloggiare comodamente in una scarpa. L’utilizzatore forniva al computer, attraverso il piede, le informazioni sulla base del quale questo avrebbe restituito i suoi calcoli sotto forma di segnale inviato attraverso alcuni elettrodi, in maniera da far capire se le probabilità consigliassero o meno una giocata. Fu un altro genere di problema a bloccare il progetto: il computer, a contatto con il sudore di chi lo indossava, diventava inutilizzabile.

Nemmeno l’ultima versione in ordine di tempo, la roulette online, è immune a teorizzazioni di carattere statistico, a prescindere dalla casualità assicurata da accorgimenti come il Random Number Generator, ormai tecnologia standardizzata. Si è per esempio osservato come sia possibile arrivare quasi ad annullare il rischio di andare in passivo sfruttando una puntata che abbia poco meno del 50% di probabilità di riuscita, e che se vinta restituisca semplicemente quanto puntato. Secondo questo schema, se si perde non bisogna far altro che ripetere l’identica puntata, ma raddoppiando la posta: quando la puntata sarà pagata, si rientrerà in possesso di tutto quanto in precedenza puntato.

Quest’ultimo approccio rende evidente la conclusione che accomuna tutti gli studi, ossia che non è possibile sfruttare un approccio scientifico in grado di garantire con sicurezza un esito prevedibile. Per quanto sia certamente possibile studiare il comportamento fisico, o statistico, riconducendoli entro schemi comprensibili e predeterminabili, non è comunque possibile arrivare a un metodo in grado di restituire risultati certi, lasciando quindi l’ultima parola alla casualità.

Redazione
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